Prima conferenza stampa in Senato, mercoledì 22 marzo, per il professor Andrea Crisanti, che a Palazzo Madama siede nelle file del Pd e che ha presentato un disegno di legge per equiparare i diritti degli specializzandi non medici ma operanti comunque nel Sistema sanitario nazionale, a quelli dei camici bianchi in formazione. I quali percepiscono una borsa di studio per accedere alla Scuole di specialità e uno stipendio durante il tirocinio in ospedale. «Anche gli altri specializzandi in ambito sanitario, cioè biologi, veterinari, psicologi, patologi, chimici clinici e farmacisti, frequentano corsi di specializzazione abilitanti ma non ricevono alcun compenso durante il tirocinio — ha spiegato Crisanti —. La legislazione ha reso ancora più palese e intollerabile negli ultimi anni questa differenza. Basti pensare alla legge 368 del 17 agosto 1999, che equipara il percorso e i titoli degli specializzandi in Medicina e Biologia: seguono le stesse scuole e ottengono un titolo equivalente. E poi il decreto del ministero della ricerca del 16 settembre 2016 stabilisce che il 70% dei crediti per ottenere il diploma di specializzazione è legato a tirocinio e prestazioni, cioè turni di lavoro e di guardia nel Sistema sanitario nazionale per 34 ore a settimana. Gli specializzandi non medici lavorano gratis, devono compiere un percorso formativo e abilitante senza percepire compensi, al contrario dei colleghi medici, che per lo stesso iter sono pagati».
I numeri del fenomeno
Parliamo di 822 specializzandi a corso per tre o quattro anni di formazione, nel dettaglio 404 veterinari, 118 psicologi, 140 chimici clinici, 70 microbiologi, 40 farmacisti e 50 fisici medici. «Rappresentano il 20% degli specializzandi in area non medica e sono professionisti essenziali per il servizio pubblico — ha insistito il microbiologo/senatore —. Questa situazione genera importanti diseguaglianze sociali e di genere: se in Medicina il 54% dei laureati è donna, in Scienze biologiche la percentuale sale al 76% e tale differenza di genere si riflette sugli specializzandi. L’80% sono donne, che non ricevono uno stipendio e quindi sono vulnerabili, sfruttate, umiliate. Dobbiamo porre rimedio a tale orrore giuridico, che confligge con gli articoli 3, 34 e 36 della Costituzione. Stabiliscono rispettivamente che tutti i cittadini hanno pari diritti, che l’accesso ai gradi più alti dell’istruzione va ai più meritevoli e capaci anche se privi di mezzi e che il lavoro dev’essere retribuito ».
La leva di legge
Il disegno di legge interviene sull’articolo 8 della legge 401 del 2000, che ridisegna i criteri di programmazione e remunerazione delle borse di studio, e sull’articolo 2 bis della legge 89 del 29 marzo 2016, abolendolo ed equiparando la posizione dello specializzando in Medicina a quello in Biologia. Il testo è stato firmato da 17 senatrici di opposizione, il passo successivo sarà di ottenere l’adesione dei senatori della maggioranza, portare il ddl in commissione e sperare nell’approvazione all’unanimità. Il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, si è detta favorevole e il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha preso l’impegno di risolvere il problema in aula. «I costi? — chiude il medico — non sono pazzeschi: 10 milioni di euro per avviare la riforma, che quando sarà a regime ne richiederà 3,5/4 all’anno».
Michela Nicolussi Moro – Corrierre Veneto