C’è grande fermento, in questi giorni, nel mondo farmaceutico. Prima il colosso americano delle farmacie Walgreens (peraltro guidato dall’italiano Stefano Pessina) acquisisce la rivale Rite Aid; poi la Pfizer avvia un negoziato per acquistare l’irlandese Allergan; infine Glaxo annuncia di voler investire in Italia un miliardo di euro in quattro anni. Come mai tutto questo dinamismo?
Per un motivo molto semplice: il comparto mondiale della farmaceutica gode di ottima salute e promette tassi di crescita scoppiettanti. Secondo Deloitte, fra soli tre anni le vendite di medicinali raggiungeranno quota 1.600 miliardi di dollari, vale a dire il 30% in più del fatturato messo a segno l’anno scorso.
C’è poi una seconda buona notizia, e riguarda l’Italia: il nostro Paese appare ben posizionato per aggiudicarsi una discreta fetta di questo settore. Lo dicono i numeri di Farmindustria (si veda Il Sole 24 Ore del 7 novembre): con 29 miliardi di fatturato nel 2014 siamo i secondi produttori di farmaci in Europa, dietro la Germania. Ma soprattutto, il ritmo a cui cresce il nostro export è il più alto di tutto il Vecchio continente. Soltanto nel 2014 le vendite all’estero di farmaci prodotti in Italia sono cresciute del 72%; tra il 2010 e il 2014 l’export italiano è aumentato di 8,1 miliardi di dollari, quello tedesco di 7,9.
Un comparto italiano che va bene, una domanda mondiale che cresce. Quali sono dunque i migliori mercati per la nostra industria del farmaco? Secondo l’Ims Institute, da qui al 2018 la crescita maggiore sarà negli Stati Uniti, che rappresentano già un terzo di tutta la domanda mondiale e che nei prossimi tre anni vedranno la spesa farmaceutica aumentare in media tra il 5 e l’8% all’anno.
Anche i Paesi emergenti faranno la loro parte, aumentando la loro richiesta di farmaci in media dell’8-11% all’anno. Pechino, in particolare, nel 2018 diventerà il secondo più grande mercato mondiale per l’industria del farmaco. Si stima che nei prossimi cinque anni la spesa pro capite cinese in medicinali crescerà di oltre il 70 per cento.
Tra gli altri Paesi che vanno affermandosi sullo scacchiere internazionale, la domanda di medicinali decollerà più della media mondiale in Polonia (+9,9% in media ogni anno da qui al 2018, sostengono gli esperti dell’Ims Institute), in Venezuela (+12,5%), nelle Filippine (+10,2%) e in Messico (+8,6 per cento).
Se dunque nel complesso i Paesi emergenti, ricorda Deloitte, saranno responsabili del 50% dell’aumento della domanda di farmaci da qui al 2018, la maggior parte dei Paesi industrializzati assisterà invece a una crescita più moderata nel consumo di medicinali, complici soprattutto le politiche di contenimento della spesa sanitaria pubblica che si stanno diffondendo, soprattutto nel Vecchio continente.
Non tutti i prodotti, nei prossimi anni, saranno poi richiesti allo stesso modo: da un lato infatti, prevede Deloitte, crescerà la domanda di preparati innovativi per la cura dei tumori, delle malattie cardiovascolari e di quelle immunologiche – guarda caso, tra i più richiesti negli Usa e nei Paesi avanzati – dall’altro lato aumenterà il bisogno di farmaci generici, e questi invece sono più popolari nei Paesi emergenti. Due segmenti molto diversi. Quale è più adatto alle nostre imprese? «L’Italia è competitiva su entrambi – assicura il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi – perché siamo un Paese a forte produzione industriale, ma anche a ricerca avanzata. E con il Ttip, l’accordo di libero scambio transatlantico, sul mercato americano non potremo che guadagnare ancora di più».
Anche gli investimenti esteri, per ora, non ci mancano: l’Italia è il primo Paese in Europa per investimenti americani nel settore della farmaceutica; siamo anche primi in Europa per valore della produzione delle aziende tedesche e di quelle svizzere, mentre siamo secondi per produzione delle aziende francesi e di quelle inglesi. Solo il 40% delle nostre imprese, infatti, è a capitale italiano.
Certo, a crescere non siamo i soli. L’Efpia, la federazione che riunisce le industrie farmaceutiche d’Europa, ricorda che in Brasile, in Cina e in India non sta aumentando solo la domanda di medicinali, ma anche l’attività di produzione e persino di ricerca e sviluppo. Scaccabarozzi conferma: «Non passa settimana in cui io non venga contattato dalle ambasciate e da altre istituzioni della Cina, della Corea del Sud e di altre realtà asiatiche in crescita. Cercano aziende italiane d’eccellenza che vadano a investire nei loro Paesi, aumentandone la capacità produttiva e accrescendone la qualità dei prodotti. Ci propongono seminari ad hoc, mettono a disposizione ricerche di mercato mirate, sono persino pronti a offrire agevolazioni fiscali». Insomma, si rendono competitivi.
Micaela Cappellini – Il Sole 24 Ore – 9 novembre 2015