Il Corriere della Sera. Era l’11 marzo 2020 quando l’Organizzazione mondiale della sanità, dopo aver valutato i livelli di gravità e la diffusione globale dell’infezione da Sars-CoV-2, dichiarò che il mondo si trovava a dover affrontare una vera pandemia. Meno di due mesi prima il Comitato dell’Oms aveva definito il Covid un’ emergenza sanitaria pubblica internazionale. Da allora la Johns Hopkins University di Baltimora, negli Stati Uniti, con il suo Coronavirus Resource Center, ha raccolto costantemente dati, in tempo reale, provenienti dai principali enti sanitari mondiali e nazionali. Tra questi la stessa Oms, i Centers for Disease Control and Prevention americani, l’European Centre for Disease Prevention a nd Control e molti altri punti di monitoraggio dei principali Paesi.
A distanza di tre anni l’ente americano ha deciso di interrompere l’attività di aggiornamento dei dati e lo ha comunicato sul suo sito ufficiale che ha avuto più di 2,5 miliardi di visualizzazioni.
Il bilancio «finale» della Johns Hopkins dà conto di 676.609.955 casi di Covid accertati nel mondo, 6.881.955 morti, 13.338.833.198 dosi di vaccino somministrate. Durante l’emergenza sanitaria internazionale il portale, con i numeri aggiornati in tempo reale relativi a tutti i Paesi, compreso il nostro, è stato un punto di riferimento per responsabili politici, scienziati di tutto il mondo, semplici cittadini, fornendo informazioni affidabili oltre che analisi di esperti. I dati raccolti su contagi, decessi, vaccinazioni, tra il 22 gennaio 2020 e il 10 marzo 2023, rimarranno in accessibili gratuitamente sul sito. Nonostante l’interruzione del servizio di pubblica utilità, il gruppo interdisciplinare di docenti ed esperti, che hanno consigliato e guidato il Centro risorse sul coronavirus, continuerà a fornire analisi e orientamento al pubblico in merito alla pandemia in corso.
L’esperto Remuzzi: «Scelta giusta. Impossibile ormai registrare tutti i numeri delle infezioni»
Commenta Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: «È giusto sospendere la raccolta dei dati perché ci sono delle varianti che si diffondono così rapidamente che, nel momento in cui si raccolgono i numeri, è già cambiato tutto; inoltre, non si riescono più a registrare tutti i dati delle infezioni, dal momento che la stragrande maggioranza delle persone fa il test a casa, oppure nemmeno lo fa. Oggi le forme gravi della malattia sono meno frequenti perché siamo vaccinati e molti hanno avuto l’infezione; inoltre, aver avuto sia l’infezione sia la vaccinazione ha un effetto ancora più protettivo». E aggiunge: «Ormai ci si comporta come per l’influenza: si va in ospedale solo se si sta male, altrimenti ci si cura a casa».
Però, non si può ancora abbassare la guardia. Spiega Remuzzi: «Esiste la possibilità che il virus possa mutare, anche se non può farlo all’infinito; inoltre, bisogna pure tener conto che questo virus ha cominciato a infettare gli animali, a partire dai cervi negli Stati Uniti, e anche qualche animale domestico. Resta quindi ancora un’incognita».
Rezza (Ministero della Salute): serve cautela, l’attenzione resta alta
Professor Giovanni Rezza, lei è direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute. La decisione della Johns Hopkins University è un segnale che la pandemia è davvero finita?
«Dovrà essere l’Organizzazione mondiale della sanità a dichiarare ufficialmente la sua fine. Cioè bisogna aspettare che l’Oms non consideri più il Covid “Pheic”: Public health emergency of international concern, un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale. E questo potrebbe avvenire nelle prossime settimane».
Come interpreta la decisione della Johns Hopkins di porre fine all’aggiornamento in tempo reale dei dati su contagi e decessi?
«Evidentemente non ritiene più necessario mostrare i dati ora dopo ora, giorno dopo giorno, sebbene continui a monitorare la situazione. Questo però avviene un po’ per tutte le malattie infettive e rispecchia la situazione, in qualche modo di normalizzazione, il che non vuol dire che non si continui a sorvegliare il fenomeno. L’attenzione rimarrà elevata fino a quando l’Oms continuerà a considerare il Covid un’emergenza, anche se non ci sarà più il clamore e la visibilità di qualche anno fa. Ad ogni modo anche i singoli Paesi — il nostro monitoraggio da alcuni mesi è passato da quotidiano a settimanale —, il Centro europeo per la prevenzione delle malattie e la stessa Oms continuano a raccogliere i dati».
Chi decide che il Covid non è più un’emergenza sanitaria a livello mondiale?
«La decisione, sia per il Covid sia per qualsiasi altra malattia dichiarata “Pheic”, viene presa dal Comitato di emergenza dell’Oms, lo stesso che aveva dichiarato a fine gennaio 2020 il coronavirus come un’emergenza sanitaria a livello mondiale. A marzo dello stesso anno l’Agenzia parlò poi pubblicamente di “pandemia”. Dopo tre anni, l’Oms ha riunito di nuovo il Comitato, proprio lo scorso fine gennaio, ma gli esperti hanno deciso di mantenere lo stato di emergenza perché in quel momento c’era un’epidemia rilevante in Cina. Quindi l’attenzione continua a essere alta, anche se la stessa Organizzazione mondiale della sanità afferma che c’è un’immunità diffusa: tante persone sono vaccinate e tante altre si sono infettate».
Qual è oggi la situazione?
«Ora, a livello globale, considerando anche che la situazione in Cina è migliorata, la popolazione è abbastanza protetta. Attualmente siamo in una fase “di transizione”, come la definisce l’Oms. C’è quindi cautela ma con un buon grado di ottimismo. Molto probabilmente nelle prossime settimane — anche se non sappiamo esattamente quando — l’Organizzazione mondiale della sanità riunirà di nuovo il Comitato che deciderà se il Covid vada considerato ancora un’emergenza oppure no».
E in Italia come stanno andando le cose?
«Abbiamo assistito a quella che è stata definita la fine sociale della pandemia (essendo rimasti in vigore ben pochi provvedimenti di contenimento dell’infezione da Sars-CoV-2), però viene ancora mantenuto elevato il grado di attenzione proprio perché, per l’Oms, il Covid è ancora considerato “Pheic”, quindi bisogna tenere alta la sorveglianza sia sui casi sia sulle possibili nuove varianti. Il ministero continua quindi a monitorare la situazione, mantenendo la vigilanza, ma non c’è in questo momento un livello di allarme: l’impatto sulle strutture sanitarie è molto basso (con tasso di occupazione dei posti letto in diminuzione: nei reparti ordinari siamo al 4,7%, nelle terapie intensive all’ 1%, ndr), l’incidenza di nuovi positivi è relativamente bassa (41 casi su centomila abitanti)».
Nell’ultimo bollettino settimanale del ministero si ribadisce la necessità di continuare ad adottare misure quali uso della mascherina, aereazione dei locali, igiene delle mani, attenzione alle situazioni di assembramento. Bisogna essere ancora prudenti, quindi?
«Va mantenuta alta l’attenzione verso le persone fragili, come anziani e individui più vulnerabili a causa di patologie importanti. A loro, soprattutto, si consiglia prudenza e si raccomanda di vaccinarsi».