DI ANTONIO CASSONE*, La Stampa. Mentre ci si aspetta che la variante Delta di Sars-Cov-2 diventi dominante anche da noi come lo è ormai in altri Paesi, ci si chiede l’impatto che avrà sulla curva dei contagi. Si discute come confrontarsi con la nuova situazione epidemica, che misure prendere e se conviene comportarsi come nel Regno Unito: libera circolazione del virus fin quando questo non incida su ricoveri ospedalieri e frequenza di malattia severa, ammesso che il premier britannico mantenga questa ricetta vista la sostanziale opposizione di larga parte dei sanitari e dei microbiologi del suo Paese, testimoniata da un recente editoriale della rivista The Lancet. Ma è davvero così pericolosa questa variante?
Quando si parla di un virus con una capacità di trasmissione così elevata (ormai da 6 ad 8 volte quella del suo antenato di Wuhan), bisogna sempre distinguere quello che appare essere da quello che potrebbe diventare. Quello che adesso circola sembra più contagioso ma non più patogeno della variante prima dominante, la alfa: fino a quando scrivo, numero dei ricoveri ed occupazione delle terapie intensive sono mediamente in discesa o stabili in Italia. Importante, la popolazione pienamente immunizzata con gli attuali vaccini non si ammala o non lo è in grado severo.
Nel complesso, si tratta, nel nostro Paese, di milioni di persone che, se contagiate, possono sviluppare malattia severa. Allo stadio attuale è quindi irragionevole, se non propriamente delittuoso, dare libera circolazione a questa variante nel momento che sia diventata dominante. Urge prendere misure di contenimento, come fatto in altri Paesi (primo esempio, il Portogallo).
Alcuni dicono: rafforziamo la capacità dei vaccini di contrastare la variante Delta, ad esempio, offrendo una terza dose, come pare esser stato deciso in Israele. Insieme a Roberto Cauda abbiamo presentato qualche giorno fa su questo giornale le ragioni che richiederebbero una sperimentazione della sicurezza di ulteriori dosi dei vaccini ad mRNA, che sono notevolmente reattogenici. Visto che Israele è il paese sperimentatore principe dei vaccini contro Covid-19, non mi meraviglierei se lo stiano già facendo ed abbiano già un’idea dell’accettabilità del profilo di sicurezza di una terza dose. Se non lo fanno, è un azzardo considerata la quantità e, in una non piccola proporzione, la gravità degli effetti collaterali sistemici di questi vaccini alla seconda iniezione, in particolare nei soggetti più giovani (dai sessant’anni in giù).
Può aiutare l’uso di dosaggi più bassi nella terza dose visto un pre-print su MedRxiv, rilanciato da Nature, secondo il quale il vaccino a mRNA di Moderna è molto immunogenico anche ad un quarto di dose, il che fa supporre che possa essere anche essere meno reattogenico in minor dosaggio. Tutto ciò detto, non è comunque chiaro perché un richiamo dello stesso vaccino possa dar luogo a risposte anticorpali e cellulari diverse in specificità e funzionalità tali che possano bloccare il potenziale infettivo della variante Delta. A meno che non venga usato un vaccino con l’mRNA dello spike della variate Delta, ma non mi risulta sia già pronto, neanche in Israele.
Come abbiamo sostenuto in precedenza, sarebbe opportuno aspettare la disponibilità di un vaccino diverso, o con uno spike diversamente formulato (il vaccino Novavax) oppure uno dei vaccini cinesi (ad esempio il Coronavac dell’azienda Sinovac) che è costituito dall’intera particella virale inattivata. In un recente paper pubblicato da Lancet, questo vaccino ha dimostrato ottima tollerabilità ed una efficacia non lontana da quella dei migliori vaccini ad mRNA, sia pure in soggetti relativamente giovani.
Infine, cosa potrebbe diventare questa variante Delta? Nei giorni scorsi Andrea Crisanti, Microbiologo dell’Università di Padova, ha detto in Tv che Delta è un passo verso un virus resistente all’immunità vaccinale, come dire un passo prima dell’inferno! Non ho le competenze di genetica e bioinformatica sufficientemente ampie da sostenere o contrastare questa affermazione, che non mi sembra comunque così strabiliante. Noto infatti che tutti Paesi stanno cercando di vaccinare al massimo le loro popolazioni e di certo questo esercita sul virus che circola una elevata pressione selettiva. In quelli che usano esclusivamente vaccini costituiti dall’antigene della proteina spike, sia come tale sia codificata dal suo messaggero, la selezione delle mutazioni si eserciterà tutta su questa proteina, in particolare sugli epitopi neutralizzanti, quelli cioè che generano anticorpi che impediscono al virus di infettare. Alcuni di questi epitopi sono già stati sterilizzati dalla variante Delta, come dimostrato in un recente paper di Wang L e collaboratori nell’ultimo numero di Science.
Il virus aspetta la sua unica chance di farci ammalare
Inoltre, in una recente pubblicazione del Journal of Molecular Biology, Gan H e collaboratori dimostrano che le varianti più recenti, dalla Alfa alla Delta, tendono a selezionare simultaneamente mutazioni che conferiscono maggiore trasmissibilità ed anche resistenza agli anticorpi neutralizzanti. In conclusione, se c’è una sola, unica possibilità di modifica della struttura dello spike virale per cui possa riuscire ad infettare, e causare malattia anche nelle persone perfettamente immunizzate, di sicuro questo virus la troverà se lo si lascerà circolare liberamente. Ancora una volta, la lotta a Covid-19 la si fa primariamente al suo agente eziologico, il perfido coronato, con tutto quanto si ritiene sia utile farlo, a livello individuale (mascherine, distanziamento, igiene) e collettivo (tracciamenti, quarantene, sequenziamenti degli isolati virali, chiusure selettive di zone ed attività favorevoli alla circolazione del virus) fin quando nuove armi tecnologiche e scientifiche costituite da antivirali e vaccini di ulteriore generazione non ci faranno vincere definitivamente la partita.
*Membro American Academy of Microbiology