EUGENIA TOGNOTTI, Nel quarto anniversario dalla fatidica notizia di uno strano nuovo virus che, stava già infettando decine di persone a Wuhan, in Cina, fa una certa impressione tornare ai primi di gennaio 2020. A quei giorni in cui il mondo cominciò a guardare con crescente preoccupazione alle scarne e reticenti informazioni su quella malattia non ancora battezzata. “Il pericolo della polmonite senza nome”, titolava infatti La Stampa – il primo giornale italiano ad attirare l’attenzione sulla misteriosa infezione l’8 gennaio – un mio breve articolo che raccoglieva le prime inquietudini dei responsabili di sanità pubblica intorno al mondo. Soltanto l’11 febbraio – dopo che l’Oms aveva dichiarato l’emergenza globale – avrà un nome , “Covid-19”, acronimo di malattia da coronavirus 2019.
Al di fuori della Cina continentale i primi casi confermati si erano verificati in Giappone, Corea del Sud e Thailandia, negli Usa e, quindi, in Europa (Gran Bretagna e Spagna ). Il primo caso in Italia viene identificato all’ospedale di Codogno il 20 febbraio. Nel giro di due settimane l’intero paese veniva sottoposto a misure di quarantena tra le più rigide e dure adottate fuori dalla Cina, che rimandavano alle misure di controllo a cui si faceva ricorso nel Medioevo e nella prima età moderna per fronteggiare il mortale pericolo della peste nei paesi mediterranei.
L’anniversario della comparsa del virus a Wuhan ha spinto ricostruzioni, commenti e analisi di scienziati ed esperti di sanità: qual è il giudizio sulla prova dell’umanità contro il coronavirus? Che cosa ci ha lasciato la pandemia? Cosa si sta facendo intorno al mondo per prevenire la prossima? A colpire è un dato sconfortante, a considerarlo oggi per ciò che implica: come è stato possibile che i Paesi più ricchi e potenti del mondo – come gli Stati Uniti – nonostante le avvertenze di varie Cassandre dagli esperti di malattie infettive a Bill Gates alla Cia. E nonostante decenni di pianificazione, centri all’avanguardia per il controllo delle malattie e anni di esperienza nella lotta contro le epidemie , H1N1, SARS, Ebola non siano stati in grado o non siano stati disposti a fermare la Grande Pandemia? Mancanza di leadership? Scarsità di coordinamento? Disinformazione e politicizzazione della crisi sanitaria?
Arroganza, negazionismo, tracotanza di alcuni leader e capi di Stato? In Gran Bretagna – per restare in Europa e lasciare in sottofondo Trump e Bolsonaro – il primo ministro Boris Johnson – di cui la Commissione d’inchiesta sul Covid sta mettendo in luce gli scellerati comportamenti – si è rifiutato di imporre le chiusure di bar, scuole, musei e ristoranti, anche se Parigi, Roma e Madrid stavano andando in direzione diversa. I 38 giorni in cui il Paese è entrato nel disastro come «un sonnambulo», per riprendere la critica del Sunday Times.
Accanto ai colossali fallimenti e all’emergere di teorie cospirative, spinte dalla destra politica, occorre però considerare i passi avanti e i successi di alcuni Paesi (Australia, Nuova Zelanda) e, naturalmente, la messa a punto dei vaccini in meno di un anno, una storica scoperta medica che si è scontrata con l’egoismo dei Paesi ricchi e potenti che hanno accumulato vaccini e diritti. Dalle pandemie del passato non s’impara. La pandemia influenzale globale del 1918 che uccise da 50 a 100 milioni di persone fu subito dimenticata. Sarà così per il Covid-19? I resoconti di scienziati ed esperti sui programmi di vari gruppi intorno al mondo che lavorano per prevenire la prossima pandemia globale, indurrebbero ad essere ottimisti. Il virologo Ian Lipkin, ad esempio, della Columbia University, una vita dedicata a studiare gli agenti patogeni , è impegnato col suo team in una serie di gruppi in tutto il mondo che lavorano per prevenire la prossima emergenza. Hanno sviluppato un sistema per analizzare rapidamente virus, batteri e funghi (conosciuti e non) presenti nei pazienti. Se gli ospedali di Wuhan avessero potuto contare su questo sistema alla fine del 2019, quando i primi pazienti iniziarono a manifestare sintomi respiratori, avrebbero potuto rendersi conto di avere a che fare con qualcosa di nuovo e pericoloso.
E’ in campo anche un progetto europeo: due istituti di ricerca in Germania, si sono dotati di tecnologie all’avanguardia per studiare i virus. Non ha dubbi sull’arrivo di una nuova pandemia, Claudia Traidl-Hoffmann, direttrice dell’Istituto di Medicina Ambientale dell’Università di Augusta. Con tutta probabilità anche questa sarà trasmessa dagli aerosol, dice, spiegando che si sta cercando di creare delle “sentinelle”, anche per arrivare a capire come le particelle virali si disperdono nelle case, negli aerei, nei mezzi di trasporto. «In caso di pandemia non vogliamo che tutto si fermi, la vita deve continuare». C’è da sperare che pur essendo il COVID-19 così recente e esplosivo da essere memorabile il mondo non stia soffrendo di ciò che il funzionario della sanità pubblica neozelandese Sir Ashley R. Bloomfield ha recentemente descritto come «amnesia globale collettiva a rapida insorgenza».