Ci saremo accorti che, mentre i dati sui contagi nelle ultime settimane sono scesi e la curva epidemiologica si è in qualche modo stabilizzata, i dati sui morti in Italia sono sempre molto alti. Anche ieri, il Paese, registra quasi 500 nuovi decessi. Abbiamo l’analisi che spiega perché l’Italia continua a contare troppo morti e siamo in grado di spiegare la differenza tra la prima e la seconda ondata. Tra marzo e maggio sono morte molte meno persone rispetto all’ultimo trimestre a cavallo tra la fine del 2020 e l’inizio del nuovo anno. Sono 49.274 i decessi per Covid in Italia durante la seconda ondata dell’epidemia, secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità. Ben di più dei 34.278 della prima fase. Che cosa è successo e perché?
Gli anziani, una categoria ancora troppo vulnerabile
Intanto partiamo da un elemento e andiamo a guardare le caratteristiche delle persone decedute. Notiamo che, mentre nella prima ondata morivano pazienti che non avevano patologie pregresse particolari (o addirittura non ne presentavano), nella seconda ondata questa percentuale si è fortemente assottigliata, passando dal 3,7% del trimestre marzo-maggio, all’1,4% di quest’ultimo periodo. Perché? «E’ evidente che oggi conosciamo di più e meglio la Sars Cov-2 e sappiamo come curare le persone rispetto, ad esempio, ad un anno fa» dice il professor Giovanni Di Perri, virologo e responsabile del reparto di Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia. E’ cresciuta in maniera importante, invece, la percentuale dei morti con 3 o più patologie: si è passati dal 62,7% del trimestre marzo/maggio al 75% degli ultimi tre mesi. Come mai e che cosa è successo? Due possibili spiegazioni. «La prima –spiega ancora Di Perri – è che di fronte a persone che presentano patologie importanti le cure attuali sono impotenti. Ed è per questo che serve con urgenza che si acceleri sulla campagna di vaccinazione. Una volta che si sarà arrivati a vaccinare tutti gli over 65 potremo parlare non tanto di immunità di gregge quanto di immunità di sopravvivenza». L’altro elemento, invece, riguarda il contact tracing. «Nella prima ondata non eravamo assolutamente preparati – spiega Di Perri -. Tracciavamo soltanto i sintomatici ed erano quei pazienti che intasavano gli ospedali. Abbiamo poi visto, nella seconda ondata, quanti fossero i casi asintomatici. E questi hanno inciso alla diffusione del virus e, di conseguenza, all’impennata dei morti».
L’analisi poi va anche a valutare il tipo di patologie che, di fatto, sono state corresponsabili della morte di migliaia di pazienti poi deceduti per o con Covid 19. Nel 90,7% dei casi per le persone decedute e di cui sono state analizzate le cartelle cliniche, nella diagnosi di ricovero erano menzionate condizioni (per esempio polmonite, insufficienza respiratoria) o sintomi (per esempio, febbre, dispnea, tosse) compatibili con SARS-CoV-2. In 554 casi (9,3% ) la diagnosi di ricovero, invece, non era da correlarsi all’infezione.
In 77 casi la diagnosi di ricovero riguardava esclusivamente patologie neoplastiche, in 184 casi patologie cardiovascolari (per esempio infarto miocardico acuto-IMA, scompenso cardiaco, ictus), in 74 casi patologie gastrointestinali (per esempio colecistite, perforazione intestinale, occlusione intestinale, cirrosi), in 219 casi altre patologie. Come si potrà notare nel grafico sottostante, però, la stragrande maggioranza delle persone poi decedute aveva 3 o più patologie gravi.
Queste, invece, le patologie più comuni associate ai morti di Covid o con Covid.
Dove si muore di più in Italia
Sono 50mila i decessi per Covid in Italia durante la seconda ondata dell’epidemia. Secondo il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sulle caratteristiche dei pazienti deceduti, aggiornato al 27 gennaio, da ottobre le vittime del virus sono 49.274: superato ampiamente il bilancio della prima ondata, da marzo a maggio 2020, quando i decessi furono 34.278. Nella fase intermedia, quella estiva da giugno a settembre, i morti sono stati invece 1.837.
Tra prima e seconda ondata, si evince dal report, si è modificata la distribuzione regionale: se nella prima fase, che ha travolto prevalentemente il Nord, in Lombardia si contavano addirittura il 47,7% delle vittime totali, in questa seconda la percentuale scende al 19,7, una su cinque. Seguono il Veneto, con il 13,2% dei decessi, l’Emilia Romagna con il 9,7%, il Piemonte con l’8% e il Lazio con il 7,6%. Quanto alle caratteristiche dei deceduti, l’età media dei è 81 anni. Le donne decedute sono 37.295 (43,7%). Che cosa significa tutto questo? «Emerge un fatto in particolare, i pochi morti durante il periodo estivo – spiega Di Perri –. Questo calo è dovuto ad una bassa circolazione del virus durante la bella stagione e la conferma arriva dai bassi contagi. Abbiamo notato, invece, che i contagi sono ripresi con il ritorno dalle ferie e la riapertura delle scuole. Alcune settimane dopo si è ripresentato il picco di morti».
Il caso Piemonte
Un focus particolare è stato realizzato per il Piemonte tra la prima e la seconda ondata. Lo metteremo in evidenza attraverso una serie di diapositive. Nella prima ondata il denominatore rappresentato dal numero di infezioni si limita quasi esclusivamente ai pazienti con sintomi, non avendo grande disponibilità diagnostica nella rete dei laboratori piemontesi. In sostanza il tracciamento era ancora piuttosto limitato. Il numero di morti tra prima e seconda ondata è, in effetti, quasi lo stesso.
Quello che però colpisce è che la maggior parte dei decessi sia avvenuto nella fascia di età tra i 65 e gli 84 anni, ma soprattutto è il confronto tra prima e seconda ondata a colpire: si vede, infatti, la forte impennata dei decessi relativi a questa fascia di età. «Ecco perché – conclude Di Perri – la vaccinazione per gli over 65 diventa determinante nell’arresto della mortalità per Covid». Perché è vero che la maggior parte dei morti è dovuta alla compresenza di Sars Cov-2 e patologie gravi, ma è anche vero che l’aspettativa di vita viene accorciata inesorabilmente a causa del Covid in pazienti già fragili e vulnerabili.
Insomma, non siamo stati in grado di proteggere le categorie più fragili. «Lo dimostra il fatto che – spiega ancora Di Perri – con l’allentamento delle misure di restrizione durante il periodo natalizio, i contagi sono nuovamente ripresi a salire e, di conseguenza, anche i morti». A questo dobbiamo aggiungere l’età particolarmente avanzata del nostro Paese. Il paragone con Stati – seppure molto diversi dal nostro – dove l’età media è più bassa resta, così, impietoso.
La Stampa