Un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha fatto il punto sulla variante di SARS-CoV-2 Omicron XBB.1.5, nota anche come Kraken. Esistono al momento, secondo questo rapporto, prove evidenti di un aumento del rischio di trasmissione e di immuno-evasione da parte di questa variante, il che potrebbe determinare, in un prossimo futuro, un aumento dei casi di infezione da SARS-CoV-2 a livello globale, anche se al momento non viene segnalata una maggiore gravità clinica. Naturalmente quest’ultimo aspetto sarà meglio chiarito quando il numero di casi, al momento ancora basso, inevitabilmente crescerà. Secondo l’OMS, sulla base delle informazioni disponibili, Kraken “non sembra apportare ulteriori rischi per la salute pubblica rispetto alle altre sotto varianti di Omicron”. In particolare dall’ottobre 2022 al 23 gennaio 2023, sono state segnalate 8931 sequenze di Kraken provenienti da 54 paesi, il 75% delle quali provenivano dagli Stati Uniti, mentre le percentuali osservate in altri paesi erano molto più basse: Regno Unito 9.9%, Canada 3%, Danimarca 2%, Germania 1,5%, Irlanda 1,3%, Austria 1,3%. La raccomandazione finale dell’OMS a tutti gli stati membri, è stata quella di dare priorità agli studi che permettono di chiarire meglio gli aspetti relativi alla capacità di immuno-evasione ed alla gravità di XBB.1.5.
Risultati e limiti
Sono stati pubblicati una serie di interventi sui vaccini preceduti da un interessante dibattito su questo argomento, nel quale sono stati considerati in maniera critica i risultati, i limiti e le aspettative dei vaccini COVID-19. Per quanto riguarda il vaccino bivalente, risulta che il richiamo produce una sostanziale protezione nei confronti della variante Omicron sia nei soggetti precedentemente infettati che vaccinati, anche se l’efficacia viene persa, in entrambe le situazioni, nel corso del tempo (Dan-Yu Lin e altri). In ogni caso, la protezione data del richiamo bivalente è più alta rispetto a quella monovalente. Sempre sullo stesso argomento, si è visto che il vaccino bivalente presenta una minore capacità di neutralizzazione nei confronti delle sotto varianti: BA.2.75.2, BQ1.1, XBB.1, anche se i titoli neutralizzanti risultano essere comunque molto superiori rispetto a quelli prodotti dal vaccino monovalente (Pfizer). Questo risultato (Jing Zou e altri) dimostra che il vaccino bivalente è dotato di una migliore capacità immunogenica rispetto al vaccino originale, dal momento che induce una più ampia risposta anche nei confronti delle sotto varianti di Omicron. La capacità del vaccino bivalente contro Omicron BA1.1, è stato valutato in soggetti adulti con un’età superiore ai 55 anni (Winokur P. e altri). In particolare, sono stati studiati quasi 2.000 partecipanti che avevano ricevuto o il vaccino BA.1 bivalente od il vaccino BA.1 monovalente. Entrambi i vaccini, monovalente o bivalente aggiornati nei confronti di Omicron BA.1, presentavano un profilo di sicurezza simile al vaccino originale Pfizer ed inducevano delle risposte neutralizzanti significative sia contro il virus ancestrale che Omicron BA.1 ed in maniera minore nei confronti di BA.4, BA.5, BA.2.75.
Vaccino bivalente
Un’interessante riflessione dal titolo “I vaccini bivalenti COVID-19, una storia da gestire con cautela” (Paul A. Offit) ricorda, per sommi capi, come si sia giunto alla produzione dei vaccini bivalenti e quale sia stata l’esperienza sul campo del loro utilizzo. Tra le conclusioni a cui giunge l’autore, si segnala che il vaccino bivalente andrebbe riservato alle persone che hanno maggiori probabilità di andare incontro ad una forma grave di malattia, in particolare gli anziani, le persone con malattie sottostanti e gli immuno-compromessi e, per usare le sue parole, “dovremmo smettere di cercare di prevenire tutte le infezioni sintomatiche nei giovani sani potenziandoli con vaccini contenenti mRNA da ceppi che potrebbero scomparire pochi mesi dopo”. La capacità neutralizzante contro le varianti: BA.2.75.2, BQ.1.1 ed XBB dopo la dose di richiamo con vaccino mRNA bivalente contenente BA.5, è stato oggetto di uno studio (Davis-Gardner M.E. e altri) che ha identificato come le persone che hanno ricevuto questo richiamo presentano una migliore attività neutralizzante contro tutte le sotto varianti di Omicron, incluse quelle sovra indicate, rispetto a chi aveva ricevuto solo richiami con il vaccino monovalente. E’ stato eseguito uno studio di coorte retrospettivo nella provincia di Pescara (Flacco M.E. e altri) che ha confrontato due diverse popolazioni, i soggetti che avevano ricevuto almeno una dose di vaccino anti COVID-19 ed i soggetti non vaccinati, per quanto riguardava la mortalità e gli eventi avversi gravi potenzialmente correlati al vaccino. I soggetti vaccinati non hanno mostrato un aumentato rischio di morte per ogni tipo di causa (con l’esclusione di COVID-19) o per qualsiasi evento avverso post-vaccinale rispetto ai non vaccinati. La conclusione a cui giunge questo studio è che la vaccinazione COVID-19 non si associa ad un aumento della mortalità o ad un aumento di incidenza di eventi gravi legati alla vaccinazione.
Varianti
La capacità immunogenica di una quarta dose di vaccino a proteina spike ricombinante, Novavax (NVX-CoV2373), è stata valutata in uno studio di fase 2 condotto in Australia e negli Stati Uniti (Katia Alves e altri). I dati sperimentali ottenuti hanno indicato che la quarta dose del vaccino Novavax determina una risposta immunogenica cross-reattiva anche nei confronti delle varianti di SARS-CoV-2, il che comporta una migliore capacità di riconoscimento nei confronti di un numero ampio di varianti. Bisognerà però attendere ulteriori studi per comprendere se questa capacità immunogenica si può tradurre in una migliore protezione. È stata delineata una strategia (Rupsha Fraser e altri) per migliorare sia l’efficacia che la durata della risposta dei vaccini anti SARS-CoV-2 esistenti, con l’obiettivo di indurre significative risposte di memoria specifiche nella mucosa del tratto respiratorio superiore che possono così limitare la diffusione virale e la conseguente trasmissione di SARS-CoV-2. È stata condotta una revisione sistematica ed una meta–analisi (Bobrovitz N. e altri) nel periodo 1 gennaio 2020 – 1 giugno 2022, interrogando una serie di data base internazionali con le parole chiave di ricerca: reinfezione, efficacia protettiva, precedente infezione, presenza di anticorpi ed immunità ibrida. Dai risultati ottenuti è emerso che tutte le stime di protezione sono calate in pochi mesi nei confronti della reinfezione, ma sono rimaste elevate e significative per quanto riguarda la protezione nei confronti del ricovero ospedaliero o della malattia grave. Inoltre, i soggetti che avevano sviluppato l’immunità ibrida presentavano una maggiore e più duratura protezione, il che permette di allungare il lasso di tempo prima di effettuare i richiami rispetto a quanti non sono stati infettati.
Omicron
Il rischio di reinfezione, la protezione da vaccino e la gravità dell’infezione causata dalla sotto variante BA.5, è stato oggetto di uno studio di popolazione su base nazionale condotto in Danimarca (Holm Hansen C. e altri). Dallo studio emerge che una precedente infezione da Omicron in individui vaccinati con tre dosi di vaccino, fornisce un’elevata protezione contro BA.5 e BA.2. La protezione del vaccino contro BA.5 era simile o leggermente inferiore alla protezione contro l’infezione da BA.2. Molto interessante il fatto che le infezioni da BA.5 si associavano ad un aumentato rischio di ospedalizzazione rispetto alle infezioni da BA.2. Uno studio (Michihito Sasaki e altri) ha valutato la capacità di un inibitore della proteasi virale, ensitrelvir, nel proteggere i criceti dalla malattia dopo l’infezione sperimentale con SARS-CoV-2. Se somministrato per via orale questo farmaco agisce sia in profilassi che in terapia. Nel primo caso, i criceti profilassati con esitrelvir, non hanno trasmesso il virus ad altri criceti che erano in stretto contatto. Se somministrato come terapia, ensitrelvir migliorava la prognosi riducendo la frequenza di forme gravi di malattia. Questi risultati suggeriscono la necessità di ulteriormente valutare questa molecola per implementarne l’uso in terapia ed eventualmente nella profilassi dell’infezione da SARS-CoV-2.
In gravidanza
È stato condotto uno studio prospettico caso-controllo (Kienast P. e altri) in due centri ostetrici che ha valutato, con la risonanza magnetica pre-natale, una serie di donne in gravidanza dopo l’infezione da SARS-CoV-2. Studiando 38 gravide è emerso che l’infezione da SARS-COV-2 in gravidanza può comportare l’insorgenza di lesioni placentari su base vascolare che possono essere ben visualizzate alla risonanza magnetica pre-natale. Inoltre, le varianti pre-Omicron causavano un numero maggiori di lesioni placentari rispetto alle varianti Omicron. Uno studio (Richard S.A. e altri) è stato condotto negli Stati Uniti valutando la persistenza dei sintomi post COVID-19 a sei mesi dall’esordio in una coorte di quasi 2000 adulti. Dai risultati è emerso che l’infezione con SARS-CoV-2 aumentava il rischio di medicalizzazione dei soggetti colpiti fino a 6 mesi dopo l’infezione e che, al contrario, la vaccinazione si associava ad un minor rischio di presenza di sintomi a lungo termine. Alcuni pazienti con COVID-19 apparentemente guariti dall’infezione virale acuta, progrediscono nella loro malattia ed alla fine muoiono, nonostante tutti i test molecolari (tamponi nasofaringei) per SARS-CoV-2 risultino negativi. A questo proposito, è stata condotta una ricerca (Rossana Bussani e altri) in 27 pazienti che, apparentemente guariti da COVID-19 sono deceduti in un tempo variabile (anche lungo, fino a 9 mesi dall’evento acuto), avendo ripetutamente negativi i tamponi nasofaringei ed il lavaggio bronco-alveolare. L’amplificazione genomica a livello delle cellule broncopolmonari ha però confermato la presenza di RNA virale, il che indica che l’infezione a livello delle cellule del polmone può durare più a lungo di quanto non risulti dagli usuali test bio-molecolari. Questa osservazione, seppur limitata ad un numero esiguo di pazienti, indica che la persistenza del virus a livello delle vie aeree profonde, è possibile e ciò potrebbe giocare un ruolo importante anche nel favorire l’insorgenza del long COVID.
Apprendimento on line
Una valutazione sull’efficacia della didattica e dell’apprendimento on-line, utilizzando un numero significativo di questionari, è stata condotta tra gli studenti di medicina nel corso della pandemia COVID-19 (Fei-feng Li e altri). Da questa ricerca è emerso che, oltre la metà degli studenti pensa che il maggior vantaggio dell’apprendimento on-line sia la convenienza e la facilità di utilizzo, anche se emergono come fattori negativi: l’affaticamento degli occhi, le scarse connessioni di rete e talora la presenza di ambienti non idonei a casa.
La Stampa