Buone notizie sul fronte Covid in Italia. A darcele è l’ultimo monitoraggio diffuso da ministero della Salute e Istituto superiore di sanità, che nella settimana tra il 21 e il 27 marzo segnala appena
603 nuovi casi positivi, con un bel -23% rispetto alla settimana precedente (quando erano 783).
Intanto il gruppo di Massimo Ciccozzi (Campus Bio-Medico) e Fabio Scarpa (Università di Sassari) ha pubblicato un nuovo studio su ‘Infectious Desease Reports’, in cui analizza l’evoluzione di tutte le varianti Covid che sono succedute dal 2020.
Cosa emerge? “L’evoluzione ha portato a un rallentamento della velocità di mutazione: man mano che il virus diventava endemico, la ‘corsa’ alle mutazioni diventava sempre più lenta. E proprio questo ci porta oggi ad avere i numeri che registra il monitoraggio”, spiega a Fortune Italia Massimo Ciccozzi.
“Non solo: le mutazioni che all’inizio hanno reso questo virus così aggressivo, pensiamo alla Delta, tre o quattro varianti successive erano presenti ma non creavano più problemi. Ecco perchè non ci siamo mai aspettati che le varianti successive si rivelassero più aggressive delle precedenti”, dice Ciccozzi.
Sempre sul fronte Covid i ricercatori dell’University of Virginia Health System hanno messo in luce le ragioni di una delle caratteristiche pià sconcertanti del Long Covid, aprendo la strada a nuovi trattamenti per gli effetti più pesanti di questo problema. Ma vediamo prima i dati italiani.
I numeri di Covid nel nostro Paese
Il monitoraggio segnala 20 morti in Italia a causa di questa patologia, -23,1% rispetto alla settimana precedente (26). Il tutto a fronte di 120.436 tamponi, non pochi anche se in calo del 6,2% rispetto alla settimana precedente.
Gli ospedali sono sempre più vuoti: abbiamo al 27 di marzo un’occupazione Covid in area medica scesa all’1,2% (754 ricoverati), rispetto al 1,4% (839 ricoverati) di sette giorni prima. Nel caso delle terapie intensive il dato è stabile allo 0,3% (25 ricoverati), rispetto allo 0,3% (27 ricoverati) del 20 marzo. Numeri davvero limitati, a fronte dei quali colpisce come l’uso della mascherina sui mezzi pubblici sia ormai entrato comunque nelle abitudini di molti italiani.
Il valzer delle varianti
Nel frattempo, il virus continua a mutare. “Di fatto, dal momento in cui è comparso, abbiamo assistito alla sua rapida diversificazione in numerose varianti, caratterizzate da mutazioni distinte nella proteina Spike e in altre regioni genomiche”, nota Ciccozzi. “Varianti di notevole interesse epidemiologico come B.1.1.7 (?), B.1.351 (?), P.1 (?), B.1.617.2 (?) e Omicron hanno attirato l’attenzione a causa della loro maggiore trasmissibilità e potenziale capacità di eludere il sistema immunitario. La stessa variante Omicron ha generato numerosissime sottovarianti, sollevando preoccupazioni sul suo impatto potenziale sulla salute pubblica”, ricorda l’epidemiologo.
Tuttavia, nonostante l’emergere di numerose varianti, “la maggior parte ha mostrato capacità di espansione limitate e non ha rappresentato minacce significative. Naturalmente, poiché l’adattamento genetico è intrinseco all’evoluzione virale, la sorveglianza genomica ininterrotta è essenziale per identificare tempestivamente nuove varianti di interesse e testarne la reale pericolosità”, raccomanda l’epidemiologo.
“Infatti, è proprio grazie al monitoraggio genomico che ora siamo in grado di affermare che, stando ai dati attuali, le varianti più recenti non presentano nessuna caratteristica preoccupante. Le singole mutazioni in comune con le vecchie varianti sono solo frutto del caso e di un naturale processo di diversificazione e convergenza evolutiva. Ma non vanno intese come un potenziale pericolo”, rassicura ancora una volta Ciccozzi.
Lo studio e il Long Covid
Sempre sul fronte della ricerca, il team guidato da Steven L. Zeichner ha scoperto che Covid-19 può indurre il corpo di alcune persone a produrre anticorpi che agiscono come gli enzimi che l’organismo utilizza naturalmente per regolare funzioni importanti, come la pressione sanguigna. Questi ‘enzimi’ regolano anche altre importanti funzioni, come la coagulazione del sangue e l’infiammazione.
Ebbene, in un futuro prossimo i medici potrebbero essere in grado di prendere di mira proprio questi anticorpi che agiscono come enzimi, detti “abzimi”, per bloccare gli effetti indesiderati. Ma gli abzimi potrebbero anche essere responsabili anche di alcune delle caratteristiche del Long Covid: ecco allora che i clinici avrebbero un ‘bersaglio’ chiave per spegnere quei sintomi compositi e fastidiosi, che affliggono i pazienti anche per anni dopo l’infezione.
Covid in Italia, i contagi scendono ancora. Il punto sulle varianti