La Stampa. Dopo due anni e mezzo di pandemia la comunità scientifica concorda su un punto: a uccidere i malati è l’infiammazione (o flogosi), non il virus. Attraverso una tempestiva terapia a base di antinfiammatori (in particolare non steroidei, i Fans), avviata all’inizio dei sintomi, si riduce il rischio di ospedalizzazione per Covid dell’85-90 per cento.
Per il mondo scientifico non è una novità e non lo è nemmeno per l’Italia, dove da tempo i malati di Covid vengono curati sempre di più con antinfiammatori. Diventa però immediatamente una notizia da cavalcare da parte di chi è contrario ai vaccini e di chi sostiene che Roberto Speranza e i governi in cui ha operato abbiano gestito male la lotta al Covid. I social si riempiono di insulti, di minacce. Speranza viene definito da più parti «assassino e c’è chi tra le forze di estrema destra prova a portare gli antinfiammatori anche nella campagna elettorale.
Il lavoro, infatti, capovolge le ipotesi emerse durante la prima fase della pandemia che attribuivano agli antinfiammatori non steroidei (e in particolare l’ibuprofene) la possibilità di aumentare la suscettibilità all’infezione da Sars-CoV-2 e aggravare i sintomi del Covid-19. Ma conferma dati e ricerche emersi in seguito, che hanno formato la letteratura a cui hanno attinto i medici nel curare i malati di Covid ricorrendo sempre meno ai ricoveri in ospedale.
In questi anni ci sono stati diversi studi sulla possibilità di intervenire sull’infezione attraverso medicinali prima che l’infiammazione avanzasse. Questi studi realizzati in diverse parti del mondo sono stati riuniti in un ampio lavoro pubblicato su «Lancet infectious diseases» con il titolo «La casa come nuova frontiera per il trattamento di Covid-19: il caso degli antinfiammatori». Il lavoro è stato condotto dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Gli autori – Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter, Norberto Perico e Monica Cortinovis – hanno preso in esame tutti gli studi pubblicati su riviste scientifiche di valore, condotti tra il 2020 e il 2021 (inclusi due lavori dello stesso Istituto Mario Negri), su un totale di cinquemila pazienti, tra gruppi di studio e di controllo. Secondo quanto riportato dalla rivista, per forme lievi e moderate di Covid i risultati sono di grande interesse rispetto all’efficacia dei Fans: accessi al pronto soccorso e ospedalizzazioni scendono dell’80% (dato accorpato), le sole ospedalizzazioni dell’85-90%, il tempo di risoluzione dei sintomi si accorcia dell’80% e la necessità di supplementazione di ossigeno del 100%.
Se i contagi dovessero tornare a salire – prevede lo studio – la terapia precoce con antinfiammatori è importante che sia gestita dai medici di famiglia, per i possibili effetti collaterali. E le interazioni con altri farmaci potrebbero scongiurare la pressione eccessiva sugli ospedali.
L’intervista a Giuseppe Remuzzi. “Il vaccino resta un miracolo nessuno manipoli la scienza”
L’Italia? Il Paese che per primo ha inserito gli antinfiammatori nelle raccomandazioni di cura contro il Covid, accusare il ministro della Salute Roberto Speranza è deplorevole, secondo Giuseppe Remuzzi , direttore dell’Istituto Mario Negri e uno degli autori del lavoro pubblicato su Lancet che conferma il ruolo degli antinfiammatori nel prevenire i ricoveri in ospedale.
Il lavoro dà ragione a chi da tempo sostiene l’efficacia delle cure da casa. Non ci si poteva arrivare prima?
«La pubblicazione apparsa su Lancet è una revisione della letteratura prodotta nel mondo in questi anni di Covid su questo argomento. Tutte le ricerche hanno portato allo stesso risultato, un calo considerevole della durata dei sintomi e delle ospedalizzazioni. Questi studi sono diventati letteratura, i medici l’hanno usata per curare, dove era possibile, i malati di Covid con gli antinfiammatori».
Sui social è partito un attacco massiccio contro il ministro Speranza. Lo accusano di non aver preso in considerazione terapie alternative come gli antinfiammatori, di aver causato centinaia di migliaia di morti.
«La cosa peggiore che può capitare ai dati della letteratura scientifica è di essere strumentalizzati durante una campagna elettorale, non importa da quale schieramento. Mettere sotto accusa il ministro Speranza è deplorevole. Gli antinfiammatori possono aiutare contro il Covid però i nostri studi presi in considerazione nella review, tra gli altri, sono robusti ma non ancora definitivi. Non si può pensare che le autorità li usino per dare regole valide in maniera assoluta. In Italia l’atteggiamento del ministero e dell’Aifa è sempre stato impeccabile. Non c’era evidenza che qualcos’altro funzionasse quando sono stati pubblicati i primi risultati sugli antinfiammatori. Quando invece sono apparse le prime evidenze, l’Italia è stato il primo Paese al mondo a introdurre gli antinfiammatori nella cura contro il Covid».
Come vanno usati ?
«Se non ci sono sintomi non bisogna fare nulla. Se ci sono sintomi, gli antinfiammatori rappresentano un’alternativa che può evitare che la malattia abbia un decorso grave, ma vanno somministrati subito altrimenti l’infiammazione va avanti. E vanno usati a certe condizioni, questo lo decide il medico in base alla storia clinica del paziente per evitare effetti collaterali».
Se bastano gli antinfiammatori perché vaccinarsi? È un’altra domanda che sta facendo il giro dei social.
«Il vaccino permette di prevenire la malattia grave indipendentemente dalle varianti del virus che si sono create nel corso del tempo. È il più grande miracolo che la medicina moderna ha messo a disposizione della popolazione. Fare il vaccino non vuol dire non ammalarsi. Però, se ci si ammala, si ha a disposizione la scelta tra antivirali, anticorpi monoclonali o antiinfiammatori. Dipende dalla disponibilità di questi strumenti e dalla storia clinica delle persone. È importante però intervenire subito per evitare che l’infiammazione avanzi».
Che cosa accadrà a settembre? Dobbiamo prepararci a una nuova ondata?
«Si parla molto dell’ultima variante, Centaurus. Nessuno ha certezze, la mia impressione è che non produrrà disastri, è una sottovariante di omicron B2 con la differenza che la gran parte delle persone ormai è immunizzata o per il vaccino oppure per aver già avuto il Covid. Questo non vuol dire che non ci si possa ammalare, ma che non ci si ammala in modo grave».
Sarà necessario fare la quarta dose? Non è preferibile aspettare i nuovi vaccini?
«In base agli studi pubblicati, la quarta dose va fatta a tutte le persone che hanno più di 50 anni. E il vaccino migliore è quello che si trova disponibile. I nuovi arriveranno, ma non hanno un grado di copertura poi così diverso da quello dei vaccini tradizionali»