Un mese di tempo per evitare il peggio. Ci vuole cautela per paragonare i dati di oggi con quelli di un anno fa, quando non c’era ancora il vaccino, ma non ci sono ormai più dubbi sul fatto che senza azioni concrete l’epidemia Covid tornerà ad aggravarsi anche in Italia.
Con 7 milioni di non vaccinati e l’immunità in calo dopo sei mesi, i contagi sono inevitabilmente destinati a salire: cresce il numero dei pazienti nei reparti ordinari e quello delle persone in rianimazione, con 35 nuovi ingressi in terapia intensiva nelle ultime 24 ore. Il picco è in Friuli Venezia Giulia, dove il 15% dei posti complessivi è occupato dai malati Covid e tre su quattro sono No Vax.
«Siamo al limite. Con questo ritmo a Natale arriveremo a 25-30 mila contagi al giorno e alla saturazione delle terapie intensive, ovvero al superamento della soglia del 10%», ha detto il virologo Francesco Menichetti, già primario di Malattie infettive all’ospedale di Pisa. Questo anche perché tutti i Covid Hospital sono stati convertiti e le strutture sono tornate a lavorare a regime ordinario. I posti letto in terapia intensiva sono rimasti più di prima, 15,2 ogni 100 mila abitanti contro 8,5, ma non sono equamente suddivisi. E alcune Regioni stanno già correndo ai ripari: la sanità lombarda, ad esempio, si prepara ad affrontare la quarta ondata del virus aumentando del 25% i posti Coronavirus per il periodo novembre-dicembre. Lo stesso accade in Veneto, Lazio e Liguria. Insomma, uno scenario tutt’altro che di festa. Oggi i ricoverati in terapia intensiva sono 520 e rappresentano il 6% dell’occupazione totale. Ma subito dopo Natale, prosegue Menichetti, «potremmo superare anche la soglia del 15% delle degenze ordinarie: abbiamo 7 milioni di non vaccinati, di cui si infetta il 5-10%, quindi questo porterà ad avere tra i 350 e i 700 mila infetti, di cui il 2,5% in ospedale. Questo ci porterà a 9-10 mila ricoveri».
Ogni domenica si registra una fisiologica flessione dei dati, ieri il bollettino del Ministero della Salute ha ufficializzato 46 decessi e 9.709 contagi al fronte di 487.109 tamponi effettuati e un tasso di positività del 2%. Numeri decisamente inferiori a quelli del 21 novembre 2020, quando c’erano 34.767 nuovi casi su 237.225 tamponi e 692 morti, con una positività del 14,6%, ma non così diversi da quelli del bollettino del 21 ottobre 2020, dove si registravano 10.874 casi e 89 morti. Dati alla mano, è facile vedere come la situazione sia degenerata in un mese, portando otto regioni in zona arancione e altrettante in rossa. Secondo il monitoraggio della Cabina di regia, l’Italia sarà «in bianco» per almeno un’altra settimana.
Un trend da invertire
A preoccupare è l’incremento del 20% nella mortalità registrato per la terza settimana consecutiva. Si tratta nella stragrande maggioranza di non vaccinati, la cui età media è di 60 anni. «Ormai questo è un trend», ammette Amerigo Cicchetti, direttore di Altems dell’Università Cattolica di Roma: per invertirlo bisogna «intervenire subito» e la prima misura è «incentivare fortemente le terze dosi, anche riaprendo gli hub da poco chiusi. I casi stanno risalendo in fretta e quindi iniziare a vedere anche un effetto sui tassi di mortalità è molto preoccupante. I trend non si cambiano se non si fanno interventi». Ma quali potrebbero essere? «La decisione è più politica che tecnica – prosegue Cicchetti –. L’intervento più aggressivo è il lockdown e il rientro nelle fasce di colore. Gli interventi meno impattanti partono, ad esempio, dall’ipotizzare uno sdoppiamento delle limitazioni a seconda della vaccinazione fatta. L’idea del Green Pass alla tedesca, per guariti e vaccinati, potrebbe essere una via di mezzo. L’altra opzione che potrebbe farsi strada è poi la vaccinazione obbligatoria». Tuttavia, conclude, «rischia di esacerbare molto le posizioni, mentre è preferibile creare degli incentivi per creare una forte spinta volontaria alla vaccinazione».
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