Quattro scenari epidemici e una serie di misure, sanitarie e non, da adottare via via che la situazione peggiora. Fino alla chiusura di scuole e università, esercizi commerciali e alla creazione di zone rosse se l’epidemia andasse fuori controllo in un’area del Paese. Il Comitato tecnico scientifico ha concluso il lavoro sul documento relativo alla “preparedness”, cioè preparazione, per affrontare le sfide future della pandemia. Si tratta di cento pagine che domani saranno presentate alle Regioni. Nel testo viene illustrata “la cassetta degli attrezzi” da usare contro il virus.
Il documento arriva in un momento molto critico per i contagi. Ieri sono un po’ scesi, arrivando a 2.257 ma con pochi tamponi, cioè 60mila. Ci si era avvicinati a 3mila casi con quasi 120mila tamponi. I numeri fanno parlare gli esperti di seconda ondata. Rispetto alla prima, cioè quella iniziata a marzo, oggi ci sono alcune differenze. Grazie ad interventi più rapidi, intanto, il virus viene intercettato presto, per questo aumentano i contagi ma i ricoveri, in particolare in terapia intensiva, sono contenuti. I contagiati, del resto, oggi sono soprattutto giovani, tra i 20 e i 40 anni. L’epidemia, inoltre, ormai è diffusa in tutto il Paese e colpisce anche al sud. È la Campania a preoccupare in questo momento. Ieri è stata la regione con più casi, 431. «La seconda ondata non c’è fortunatamente negli ospedali – dice l’epidemiologo e assessore alla Salute in pectore della Puglia Pier Luigi Lopalco – Possiamo però parlare di nuova ondata come casi positivi». Secondo il consulente del ministero alla Salute Walter Ricciardi, «la prima non è mai finita perché qui i casi non sono mai scesi a zero. Siamo di fronte alla prima onda che risale».
Il documento sulla “preparedness” è simile a quello sul quale ci sono state polemiche nei mesi scorsi perché venne secretato. Adesso di numeri non se ne mettono, vengono invece utilizzati quattro scenari per descrivere l’andamento dell’epidemia. Si ragiona sia a livello nazionale che locale, nel senso che la situazione può essere di un tipo in tutta Italia e migliore, simile o peggiore in una regione o in parte di questa. Per questo a fronte della situazione nazionale, nelle singole regioni possono esserci quattro livelli di rischio: basso, medio, alto da meno di 3 settimane, e alto più di 3 settimane.
Il primo scenario si ha quando c’è una bassa circolazione, con focolai sporadici e con un Rt costantemente sotto all’1. In questa situazione, simile a quella di luglio agosto, vanno prese misure di attenzione di tipo primario, più basilari. Si fa il tracciamento dei casi, si prendono le precauzioni di protezione standard, si fanno i test e così via.
Il secondo scenario scatta se si ha una circolazione nazionale sostenuta, con tanti focolai in aumento, ma nella quale non ci sono timori a breve e medio termine perché il sistema sanitario è in grado di gestire la situazione.
Se in qualche regione però il rischio è moderato o alto, si possono comunque già prendere misure importanti, sia nelle scuole che fuori, con contenute zone rosse. Il terzo scenario c’è quando l’Rt sale stabilmente, i casi aumentano, i focolai hanno una crescita sostenuta e ci sono rischi di tenuta del sistema nel medio periodo. L’Italia adesso è probabilmente al secondo livello. In certe regioni, come la Campania, si teme di passare al terzo o comunque che ci si trovi in una situazione di medio o alto rischio. Nelle zone dove si entra nel terzo livello e c’è un rischio moderato o alto potrebbero essere decise anche chiusure di attività sociali e culturali, come discoteche, bar e palestre.
Infine c’è il quarto scenario, che scatta quando l’Rt resta stabilmente sopra all’1,5, per almeno tre settimane, e c’è una «criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo ». I focolai non sono più sotto controllo, perché non si è più in grado di fare il tracciamento dei casi. Nelle zone dove il rischio è medio o alto si creano estese zone rosse, si chiudono scuole e università e così via.