Sono 34.319 i nuovi casi positivi al Covid-19 in aumento del 28,1% rispetto alla settimana precedente. Lo rileva il bollettino del ministero della Salute relativo alla settimana 9-15 novembre che registra anche 192 decessi (+17,8%), 224.522 tamponi eseguiti (+13,5%) e un tasso di positività del 15,3% in crescita dell’1,7%. Il tasso di occupazione in area medica, rilevato il 15 novembre, è pari al 6,7% (4.167 ricoverati), rispetto al 5,9% di sette giorni fa e il tasso di occupazione in terapia è dell’1,4% (122 ricoverati), rispetto al 1,2% precedente. Per il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Francesco Vaia “i numeri, ancorché sostanzialmente stabili negli indici più significativi e cioè l’impatto con le strutture ospedaliere, determinano la necessità di un maggior impegno da parte di tutte le Regioni sia sul piano della comunicazione che della organizzazione della vaccinazione in difesa dei più fragili”.
Dopo un mese di numeri in calo il Monitoraggio settimanale a cura dell’Iss da tutti gli indicatori del Covid in risalita. E’ ancora presto per dire se siamo alla vigilia di una ondata o ondina invernale, che potrebbe essere spinta nei prossimi giorni dal previsto abbassamento delle temperature, fino a qui primaverili. Il REPORT
Intanto i contagi sono in aumento del 26% con 34.314 casi in sette giorni contro i 26.855 della settimana precedente. Aumento confermato da quello dell’incidenza settimanale dei casi ogni 100mila abitanti che da quota 46 passa a 58. In risalita da 0,83 a 0,93 anche l’Rt, l’indice di contagio, che si mantiene tuttavia ancora sotto il livello epidemico di uno.
Pur limitate crescono anche le ospedalizzazioni. Il tasso di occupazione dei posti letto nei reparti di medicina sale infatti dal 5,9 al 6,7%, mentre quelle delle terapie intensive dall’1,2 passa all’1,4%. Complessivamente sono 4.167 i ricoverati nei reparti di medicina e 122 quelli nelle terapie intensive.
Con il 51% dei casi è Eris la variante Covid in questo momento più diffusa in Italia. Provoca due o tre giorni di febbre alta e dolori diffusi per il corpo in alcuni pazienti. La differenza con l’influenza è che può provocare conseguenze sul lungo periodo. L’indicazione dei medici e dei virologi è ovviamente quella di procedere con le vaccinazioni sia contro il Covid che contro l’influenza per i soggetti fragili. Anche se secondo alcuni studi Eris sarebbe una variante molto forte, capace di sfuggire alle difese anticorpali generate sia da precedenti infezioni che dai vaccini.
Per Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova, è davvero molto simile all’influenza e quindi va curata allo stesso modo con paracetamolo, ibuprofene, ketoprofene e aspirina. Mentre per Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e tropicali (Simit) e professore di Malattie infettive all’Università Tor Vergata di Roma, i contagi da Eris sono molto variabili.
Può non dare sintomi, come può portare febbre alta e «c’è chi torna a perdere l’olfatto e il gusto cosa che non vedevamo con le varianti precedenti» Se dovesse colpire soggetti fragili o gli anziani il consiglio del professore è l’uso, entro 5 giorni, degli antivirali come Paxlovid e Remdesivir. Certo, la similitudine con l’influenza c’è.
Per distinguerle Massimo Ciccozzi, epidemiologo dell’Università Campus Bio-medico di Roma, raccomanda di fare il tampone. Non subito però, ma due o tre giorni dopo la comparsa del primo malessere, facendo il molecolare se si vuole fare il tampone una volta sola o l’antigenico se si è disposti a ripeterlo dopo 48 ore.
Intanto i no vax tornano ad essere attivi sulla Rete rilanciando la bufale delle pericarditi causate dalla vaccinazione anti-Covid. La pericardite è l’infiammazione del pericardio, quello spazio a protezione del cuore, separato da due sottili pellicole e con al suo interno del liquido serioso. Durante la pandemia, oltre a casi certi di miocardite e pericardite da Covid 19, si sono sospettati casi di coinvolgimento cardiaco dopo il vaccino anti-Covid, sebbene in misura molto inferiore e con decorso benigno.
Quanto basta per far puntare l’indice contro il vaccino ai pochi ma sempre attivi scienziati immaginari. Che ignorano come nel corso di una vaccinazione di massa concentrata nel tempo sia quasi impossibile dimostrare una relazione causa- effetto tra il vaccino e gli eventi successivi.
«Esiste invece la coincidenza, come spiega un esempio di statistica: in estate spiega Gabriele Bronzetti, Responsabile del Programma dipartimentale cardio-pediatria, Unità operativa di Cardiologia pediatrica al Policlinico Sant’Orsola di Bologna- è normale che il consumo di gelati e le morti per annegamento aumentino senza nessuna relazione causa-effetto; i due picchi si sovrappongono lasciando intendere agli sprovveduti un legame tra i due fenomeni.
Infarti, ictus, embolie e così via incidono, come anche miocarditi e pericarditi, mentre facciamo un sacco di altre cose. Chi si deve ammalare si ammalerà». Pertanto è inevitabile che tra le centinaia di migliaia di vaccinati in un breve intervallo di tempo, nei giorni successivi qualcuno si ammali come si ammalerebbe anche senza una puntura nel deltoide. Infatti, non ci sono studi che abbiano dimostrato incontrovertibilmente una relazione causa-effetto tra vaccinazione Covid e infiammazioni cardiache.
Individuato il possibile responsabile delle morti di gatti nell’isola di Cipro: non è il Covid ma un nuovo ceppo di coronavirus felino che ha incorporato sequenze chiave di Rna da un patogeno canino altamente virulento chiamato pantropic canine coronavirus (pCCoV).
I risultati, pubblicati come preprint la scorsa settimana su bioRxiv, potrebbero aiutare a spiegare come una grave malattia sia riuscita a diffondersi così ampiamente tra i gatti dell’isola. Quando migliaia di gatti hanno iniziato a morire quest’anno nell’isola mediterranea di Cipro, soprannominata «isola dei gatti» per la sua popolazione felina di un milione di esemplari, la crisi ha fatto notizia a livello internazionale.
Gli animali avevano febbre, ventri gonfi e letargia, sintomi che indicavano la peritonite infettiva felina (Fip), una condizione comune causata da un tipo di coronavirus felino. Tuttavia, gli scienziati faticavano a spiegare l’apparente esplosione dei casi. Ora, i ricercatori «hanno fatto un ottimo lavoro nell’identificare ciò che sembra essere un virus molto interessante e preoccupante», afferma Gary Whittaker, virologo presso la Cornell University College of Veterinary Medicine, non coinvolto nella ricerca.
Sebbene siano stati segnalati incroci tra coronavirus canini e felini in passato, afferma che questo è il primo caso documentato di un coronavirus felino che si combina con pCCoV, portando apparentemente a una «tempesta perfetta di malattia e trasmissibilità».
I veterinari a Cipro hanno lanciato l’allarme all’inizio di quest’anno riguardo all’aumento dei casi di FIP, che non è correlato al COVID-19 e non colpisce gli esseri umani. Entro luglio, attivisti animalisti e mezzi di informazione avevano segnalato quasi 300.000 decessi, sebbene i veterinari locali abbiano successivamente revisionato drasticamente quel numero, riducendolo a circa 8.000. Ad agosto, il governo cipriota ha acconsentito all’uso veterinario del farmaco umano SARS-CoV-2 molnupiravir, che blocca la replicazione del coronavirus e sembra essere un trattamento efficace per la Fip.