Il 28 aprile scorso, un’ordinanza del ministro della Salute ha eliminato l’obbligo di mascherina al chiuso, salvo alcune eccezioni. Il 29 aprile, una circolare del ministro per la Pubblica Amministrazione ha confermato che nei luoghi di lavoro pubblici la mascherina è solo raccomandata. Tuttavia, il 4 maggio, è stata ribadita la validità del protocollo per contrasto al COVID-19 nei luoghi di lavoro, che continua a richiedere l’uso delle mascherine affinché il datore di lavoro – nel settore pubblico o privato – non sia reputato responsabile in caso di contagi. Ancora una volta è caos regolatorio. Durante la pandemia è peggiorata la situazione di incertezza – a causa di disposizioni complesse, mutevoli e gravose – in cui le imprese italiane si trovano costantemente a operare, e si persiste a proseguire sulla stessa strada.
La normativa di contrasto al COVID-19 continua a mostrare profili di incoerenza e confusione – come sin dall’inizio della pandemia – anche ora che è finito lo stato di emergenza. Il problema riguarda l’obbligo di mascherine nei luoghi di lavoro.
LA NORMATIVA
Un’ordinanza del ministro della salute del 28 aprile 2022 ha dettato nuove regole sull’utilizzo dei dispositivi individuali di protezione delle vie respiratorie – le mascherine – a partire dal primo maggio scorso (fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 24/2022, e comunque non oltre il 15 giugno 2022).
In particolare, salvo alcune ipotesi (strutture sanitarie, mezzi di trasporto pubblico ecc.), l’uso di tali dispositivi non è più obbligatorio, ma solo raccomandato, nei luoghi al chiuso pubblici o aperti al pubblico, quindi anche nei posti di lavoro.
Il 29 aprile, il ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, con una circolare ha fornito «indicazioni di carattere generale per una corretta e omogenea applicazione dell’ordinanza del ministro Speranza nei luoghi di lavoro pubblici».
Nella circolare si dice che l’uso delle mascherine «è raccomandato, in particolare, per il personale a contatto con il pubblico sprovvisto di idonee barriere protettive, per chi è in fila a mensa o in altri spazi comuni, per chi condivide la stanza con personale “fragile”, negli ascensori e nei casi in cui gli spazi non possano escludere affollamenti».
Il sistema regolatorio sembrerebbe coerente – la circolare di Brunetta è conforme al provvedimento di Speranza – se non fosse per un elemento non di dettaglio.
Si tratta della disposizione (art. 29-bis del d.l. n. 23/2020, come convertito dalla l. n. 40/2020) ai sensi della quale, relativamente al rischio di contagio da Covid-19, il datore di lavoro pubblico o privato assolve all’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità dei dipendenti (art. 2087 del codice civile) mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nei protocolli vigenti a livello nazionale, e in particolare in quello sottoscritto da governo e parti sociali, da ultimo aggiornato il 6 aprile 2021.
In altre parole, se l’imprenditore rispetta puntualmente il protocollo – strumento che, secondo il legislatore, tutela i lavoratori sia del settore pubblico sia di quello privato dal rischio Covid – non è considerato responsabile in caso di contagi.
Dunque, nonostante con la fine dell’emergenza sia venuta meno la normativa che imponeva l’adozione del protocollo, il datore di lavoro deve comunque applicarlo e farlo osservare ai propri dipendenti, affinché funzioni l’esimente prevista dalla legge nei suoi riguardi. E il protocollo prevede l’uso dei dispositivi di protezione individuale negli spazi condivisi.
Pertanto, in sintesi, se pure le mascherine al chiuso non sono più obbligatorie ai sensi dell’ordinanza del ministro della Salute, continuano tuttavia a essere previste dal protocollo, richiamato dalla norma sull’esonero da responsabilità per l’imprenditore, come visto.
L’INCONTRO GOVERNO-PARTI SOCIALI
Ci si aspettava che il 4 maggio scorso – a seguito della riunione tra i rappresentanti dei ministeri del Lavoro, della Salute e dello Sviluppo Economico, dell’Inail e di tutte le parti sociali – le misure di prevenzione previste dal protocollo sarebbero state coerentemente adeguate alle nuove disposizioni, quanto all’uso dei dispositivi di protezione individuale.
Invece, dopo aver rilevato che, nonostante la cessazione dello stato d’emergenza, persistono esigenze di tutela dalla pandemia da Covid-19, i partecipanti alla riunione hanno unanimemente reputato di confermare il protocollo «nella sua interezza», al fine di «contrastare e contenere la diffusione dei contagi dal virus nei luoghi di lavoro».
Peraltro, ciò significa pure che non sono stati apportati aggiornamenti o modifiche, nonostante – come avevamo rilevato in un articolo precedente – molte regole del protocollo sono obsolete, superate dagli eventi oppure in contrasto con altre norme. Il prossimo 30 giugno, esponenti del governo e parti sociali torneranno a incontrarsi per verificare nuovamente le disposizioni del protocollo alla luce della situazione epidemiologica.
IL CAOS REGOLATORIO
La situazione si presenta confusa. Da un lato, c’è il provvedimento di Speranza, che ha eliminato l’obbligo di mascherina al chiuso, e la circolare di Brunetta, ai sensi della quale – coerentemente – la mascherina è solo raccomandata nei luoghi di lavoro pubblici.
Dall’altro lato, c’è il protocollo Governo-parti sociali di contrasto al COVID-19, che continua a richiedere l’uso delle mascherine, affinché il datore di lavoro non sia reputato responsabile in caso di contagi in azienda, e che – essendo stato confermato «nella sua interezza» – resta valido sia per i luoghi di lavoro pubblici sia per quelli privati.
E se è vero che si tratta di un mero accordo, tuttavia esso acquisisce una valenza diversa in quanto richiamato dalla norma che dispone l’esimente per l’imprenditore.
Dunque, nonostante la circolare del ministro per la Pubblica Amministrazione, atto amministrativo, al datore di lavoro pubblico non resta che adeguarsi al protocollo previsto dalla legge.
In conclusione, ancora una volta è il caos regolatorio. Le imprese italiane si trovano costantemente a operare in uno stato di incertezza, a causa di disposizioni complesse, mutevoli e gravose.
Durante la pandemia la situazione per esse è peggiorata ed evidentemente, anche ora che ne stiamo uscendo, non accenna a migliorare