Più che i soldi, 32 mila euro in tre anni, sono le contraddizioni e i non ricordo – oggi – a mettere in difficoltà il governatore del Piemonte Roberto Cota, investito con la sua maggioranza dall’indagine di Rimborsopoli chiusa nei giorni scorsi dalla Procura di Torino.
Cota ha scritto una lettera ai cittadini per ribadire la sua onestà, ma i tabulati telefonici sembrano smentire la ricostruzione dei suoi spostamenti e dunque delle spese sostenute. «Un problema dovuto ai cellulari – dice il suo avvocato, Domenico Ajello – hanno tracciato solo quello personale, ma il governatore spesso usa quello d’ufficio. Useremo i prossimi 20 giorni per chiarire». Chiarimento che il governatore sperava di avere già fornito presentandosi due volte dai pm. La prima, l’11 gennaio 2013, come persona informata dei fatti; la seconda, il 16 aprile, come indagato per peculato. Nel primo confronto, Cota, esordì spiegando le politiche economiche della Regione che ha «tagliato le spese da 44 milioni di euro a 11». Poi, entrando nel merito dell’inchiesta: «Non ho mai usato i fondi nella disponibilità del presidente ma solo il budget di consigliere regionale». Cioè 1500 euro al mese, più 5 mila annuali. «Sostanzialmente, sono i costi di rappresentanza, per collaboratori o amministratori locali e raramente per gli uomini della scorta». Dal 2008, infatti, Cota è sotto protezione.
Commentando, nel corso del confronto, l’ammontare delle spese, il governatore ha detto ai pm: «Per fortuna mia moglie lavora, sennò saremmo in bancarotta!». Cota s’è autoridotto lo stipendio e guadagna 144 mila euro lordi all’anno. Poco più di 6 mila 900 euro netti al mese.
La Procura domanda, Cota risponde, anche se non sempre ricorda con esattezza tutti i dettagli. Ma pare soddisfatto. Al termine del primo confronto, il governatore aveva detto che si sarebbe dimesso se mai avesse ricevuto un avviso di garanzia. Oggi siamo in quella fase. E sono arrivate la lettera, le giustificazioni, i 4 scontrini che i tabulati non sembrano spiegare.
Il secondo confronto è più serrato, si analizzano spese al ristorante, nei negozi, al bar. C’è una ricevuta-fattura di una cena al ristorante «Da Celestina» a Roma, relativa al 23 giugno 2010. Sarebbe un menu completo da 110 euro, ma Cota spiega che, in realtà, era a cena con il giornalista Rai Francesco Giorgino e la sua portavoce.
Ancora. La fattura di un ristorante di Galbiate, tre pizze, birre e caffè per un totale di 45 euro, il 20 luglio 2010. Il governatore racconta ai pm che, di scontrini e fatture, si occupava il suo staff e che non «sempre mi ricordo di ogni appuntamento…». Sintesi: «Su un totale di rimborsi di 32 mila euro me ne contestate 25 mila, ma non avrei mai potuto sostenere queste spese con le mie risorse». C’è il costo di un corso di inglese tenuto a Boston ma pagato di tasca sua e la creazione di un sito internet per l’attività politica. Emerge la fattura di un pranzo nel Grand Hotel Dino di Baveno. «Fu per la Croce Rossa locale». Quindi il costo di una notte in un albergo di Torino, 150 euro: «Una sera finii molto tardi lavorare e decisi di fermarmi a dormire a Torino, poiché l’indomani avevo un impegno al mattino presto». I pm gli presentano gli scontrini di un negozio di abbigliamento: tre foulard. «Regali di compleanno di collaboratrici». Due penne pagate 160 euro, una destinata al prefetto di Novara. Definita una «spesa di rappresentanza», così come i regali per il matrimonio di Michele Coppola, suo assessore alla Cultura, e per Silvio Magliano, esponente del Pdl. Quindi libri dello scrittore Boccardo per l’ex ministro Giulio Tremonti e l’ex governatore Enzo Ghigo. Tre le cravatte destinate agli autisti. Spuntano ricevute di soggiorni ad Alassio e San Lorenzo al Mare. Cota ricorda che riguardavano una sua collaboratrice, Michela Carossa. È la figlia di Mario, capogruppo della Lega, anche lui indagato per uso anomalo dei rimborsi. Tra le spese spunta anche un dvd del film «Fair Game». Traduzione: denaro restituito.
La Stampa – 23 novembre 2013