Prova d’appello perla commissione Giovannini, chiamata dal decreto salva-Italia a definire uno dei tanti tasselli dei tagli ai costi della politica, anche se si tratta di una tessera di rilievo.
La commissione, infatti, deve definire la soglia a cui devono parametrarsi le retribuzioni dei parlamentari e degli incarichi di vertice di tutta una serie di altri organismi, a cominciare dalle Authority.
Questione assai spinosa, perché c’è già stato un precedente agli inizi dell’anno, con nutrito strascico di polemiche. Nei primi giorni di gennaio, infatti, la commissione — in ottemperanza a quanto previsto dall’articolo i della manovra di luglio (decreto legge 98/2ou, convertito dalla legge m), ma soprattutto perché pressata dall’opinione pubblica — aveva provato a ricondurre i compensi di deputati e senatori e di molti grand commis entro la media ricavata dalla valutazione degli stipendi assegnati a incarichi analoghi di altri sei Paesi europei: Germania, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, Austria e Francia. Una prima faticosa elaborazione che ha scontato la scarsità dei dati relativi alle altre realtà, ma che ha comunque dimostrato come i nostri parlamentari abbiano le retribuzioni più alte. Il risultato non è, però, stato indenne da critiche, che si sono appuntate sul fatto che la ricerca della commissione non ha potuto prendere in considerazione voci significative (per esempio, il peso della tassazione negli altri Paesi) e soprattutto si è dovuta scontrare con le tante voci che compongono lo stipendio dei parlamentari, qui da noi come altrove. In quella circostanza Enrico Giovannini, presidente della commissione, aveva sottolineato l’estrema difficoltà di arrivare a una media attendibile a cui riferire gli stipendi dei nostri senatori e deputati, precisando, al contempo, che quella presentata a gennaio era solo una prima riflessione. Ora, però, quel lavoro può essere affinato. Entro fine marzo, infatti, la commissione ha la possibilità — così prevede la legge che l’ha istituita — di presentare nuove valutazioni. Considerazioni che, a regime e sempre che si ritenga che il compito della commissione abbia un senso, dovranno essere presentate entro luglio di ciascun anno. Anche perché, se pure questa volta la commissione Giovanni-ni dovesse mostrare il fiato corto, scatterebbe il “commissaria-mento” voluto dal decreto salva-Italia, che ha riservato a Parlamento e Governo la possibilità, ognuno nel proprio ambito di competenze, di intervenire per fare in modo che le retribuzioni dei nostri parlamentari e vertici amministrativi siano allineate a quelle europee.
L’identikit
L’istituzione La commissione Giovannini (così chiamata da Enrico Giovannini, presidente (stat, che la coordina) è stata istituita dalla prima manovra estiva (articolo 1 del decreto legge 98/2011, convertito dalla legge 111/2011) Il compito La commissione, che ha un mandato di quattro anni e svolge la propria attività a titolo gratuito, deve effettuare la ricognizione delle retribuzioni delle cariche elettive e degli incarichi di vertice della pubblica amministrazione, il cui importo non deve superare la media degli stipendi di chi in Europa svolge ruoli analoghi I primi risultati La commissione ha già effettuato una prima ricognizione delle retribuzioni straniere: è risultato che gli stipendi dei nostri parlamentari sono i più alti. Ne sono, però, seguite molte polemiche su come sono stati elaborati i dati
Sole 24 Ore – 26 marzo 2012