Vita sempre più dura per gli allevamenti di suini. Da un lato le speculazioni sulle materie prime alimentari hanno portato un vero e proprio boom dei costi dei mangimi, dall’altro la concorrenza sleale dei prodotti stranieri spacciati per made in Italy impedisce di valorizzare i maiali italiani.
Il risultato è una situazione che rischia di far chiudere i battenti di centinaia di aziende.
Il primo “imputato” è la volatilità dei prezzi. Lo spostamento dei capitali dai mercati finanziari in difficoltà alle materie prime ha portato i prodotti per l’alimentazione del bestiame a livelli da recorso.
Da gennaio dell’anno scorso a oggi, il prezzo medio del mangime è stato in Italia di oltre 28 euro al quintale, un record europeo considerata che la media Ue è poco sotto i 23 euro al quintale, si va dai quasi 20 euro di Francia e Germania ai quasi 24 della Danimarca, anche perché i maiali nazionali mangiano solo prodotti di qualità previsti dai rigidi disciplinari di produzione dei prosciutti Dop.
Per la crescita di un suino adulto a fronte di una razione giornaliera di tre chili e mezzo, servono in media 500 chili di mangime con un costo di oltre 160 euro solo per l’alimentazione. Poi ci sono le spese di gestione dell’azienda, quelle per l’energia, quelle per l’acquisto dei suinetti.
Ai valori attuali e con una stima prudenziale i costi di produzione per un suino adulto si aggirano sui 260 euro, pari a 1,62 euro al chilo contro una quotazione che non supera 1,40 euro al chilo. Questo significa che si perdono 30 euro a capo e che un’azienda di medie dimensioni ci rimette quasi 180 mila euro all’anno. A livello nazionale il “buco” supera i 300 milioni in Italia.
L’altro problema è rappresentato dalla concorrenza sleale dei prodotti stranieri. Come più volte denunciato da Coldiretti, due prosciutti su tre provengono da maiali allevati all’estero senza una adeguata informazione. Serve dunque stringere le maglie troppo larghe della legislazione a partire dall’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata, voluto con una legge nazionale approvata all’unanimità dal Parlamento italiano all’inizio dell’anno ma non ancora applicato per le resistenze comunitarie.
Due settimane fa gli eurodeputati hanno dato una prima risposta approvando l’etichetta “trasparente” per la carne fresca di maiale, ma il provvedimento deve essere al più presto esteso anche alle carni utilizzate in alimenti trasformati. Quelli dove più spesso si verifica l’inganno del falso Made in Italy.
Ilpuntocoldiretti.it – 19 luglio 2011