Una battaglia che va avanti da molti anni, dal lontano 1996, e che vede coinvolte tantissime realtà, piccole o grandi che siano, della produzione di latte in Italia.
Sono 34mila le aziende registrate che producono latte per un totale quantitativo che raggiunge i 48milioni di quintali ogni anno, quando sulla ‘carta’ i numeri sono diversi, numeri che dicono 110milioni di quintali all’anno. Il problema è proprio questo, denunciato più volte e mai realmente affrontato, i contributi comunitari che vengono pilotati in base a questi dati, e le sanzioni della Comunità Europea che invece vanno a colpire le piccole associazioni, le piccole imprese magari a gestione familiare, le cooperative di produttori che oggi fanno veramente fatica. La protesta degli agricoltori proprio al di fuori di Palazzo Chigi non è certo la prima, non sarà certo l’ultima.
“Commissioni, indagini, relazioni governative – racconta a La Voce il dottor Vilmare Giacomazzi della COSPA Servizi Italia Cooperativa Sociale di Verona, in prima linea da 16 anni sul problema delle quote latte e del latte italiano che in realtà italiano non è – e tutte che hanno evidenziato che spesso il latte italiano non è prodotto veramente in Italia, è prodotto in Italia solo sull’etichetta. Le organizzazioni sindacali agricole come Coldiretti e Confagricoltura deviano da anni i contributi, caricandoli sulle cosiddette stalle fantasma. Tutti ci ricordiamo di quella signora della Valtellina che possedeva 10 vacche e 5 galline, e che invece in via ufficiale risultava proprietaria di 70mila vacche! Se possedere 10 vacche porta a un contributo di circa 800 euro, provate a immaginare quanti soldi arrivano con 70mila capi di bestiame!”.
Anche in Parlamento se ne discute da tempo, spesso senza mai volerne venire davvero a capo. E così ecco il problema delle quote latte e delle sanzioni ad esse conseguenti: “Multe miliardarie, sanzioni milionarie. Situazioni pesantissime per le aziende, sanzioni che ogni mese si accumulano e poi gravano sugli allevatori e sulle cooperative. E non stiamo parlando di cartelle esattoriali da poche centinaia di euro, stiamo parlando di cartelle da migliaia di euro alla volta, che col tempo continuano a crescere. Nel maggio 2011 un decreto governativo le aveva quasi bloccate, ora queste cartelle ritornano, e a chiedere i soldi ci si mette pure Equitalia”.
Il futuro non è roseo per i piccoli e medi produttori. Delle 34mila aziende citate poco più della metà sono al nord, e solo il 3% di queste ha nella sua ‘rosa’ qualche giovane in grado di proseguire un’attività spesso familiare. “Molte forze politiche appoggiano questa linea – continua Giacomazzi – difendono il gioco multinazionale delle quote latte, cercano di confondere consumatori e produttori, tengono bassi i prezzi fino allo stremo, fino a cancellare le aziende una ad una. Cartelle esattoriali di queste proporzioni bloccano qualsiasi tipo di investimento: ristrutturazioni, ampliamenti, nuovi acquisti.. non ti lasciano fare più niente! Mi ripeto, una situazione gravissima che mette a repentaglio le stesse aziende agricole. E non è più così facile rialzare la testa”.
Il problema è a monte, per quella carta di produzione che non segue logiche precise. Per quella Legge 119 che non viene mai rispettata, per tutti quei controlli che non vengono mai fatti. Stalle fantasma e importazioni nascoste, problemi su cui indagano ben 34 Procure, problemi emersi a ripetizione dalle varie commissioni incaricate delle indagini, dalla Commissione Lecca del 1997 alla relazione del colonnello Messina dei Carabinieri, fino all’ultima inchiesta dei Carabinieri alle Politiche Agricole e Alimentari, nel 2011. I dati disponibili sono molto chiari, forse inequivocabili: “In fondo basta che un prodotto subisca una lavorazione in Italia perché venga dichiarato italiano. Perfino il latte in polvere rigenerato! Solo per produrre le 32 DOP italiane servono 45milioni di quintali ogni anno, a cui vanno aggiunti quelli per il latte fresco, quelli per i prodotti correlati. Questo vuol dire che siamo quotidianamente inondati da latte estero che viene dichiarato italiano”.
E i prezzi sono sempre più bassi, piegati alle logiche di mercato dei nuovi esportatori, e oltre a Francia e Germania ci sono i produttori ungheresi o rumeni. Prodotti di nicchia come il Bagoss che vende quantitativi spropositati, e poi il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano.. ma sono ancora italiani? “Noi dei Comitati Spontanei non siamo contro il mercato, il mercato è libero. Noi siamo contrari a questo mercato drogato in cui vale più quello scritto sulle carte di quella che poi è la vera operatività. Se uno vuole comprarsi un prodotto fatto con latte ungherese è libero di comprarlo, non è che qualitativamente non sia a posto. Ma questa scelta deve essere consapevole, e non condizionata”.
Dal 2013 le cose potrebbero cambiare grazie ad una nuova tracciabilità del prodotto. In contemporanea però si sta sviluppando il passaggio delle varie produzioni italiane a produzione europee, da latte italiano a latte europeo senza più confini. “Dobbiamo resistere fino ad allora, prima o poi saranno costretti a dichiarare da dove arriva questo latte. E’ chiaro che l’obiettivo comunitario è sempre stato quello di distruggere la produzione italiana, e fino ad ora ci stanno riuscendo benissimo. Ma ci battiamo per una vera tracciabilità, per saperne di più. Siamo sicuri che i consumatori sarebbero soddisfatti anche se pagassero qualcosa in più, sapendo però che cosa consumano, e da dove proviene”.
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