Cosa si intende per “sindacato giallo” e quanto questo fenomeno può condizionare negativamente le relazioni sindacali, con ricadute anche gravi in tema di mancata tutela degli interessi dei lavoratori? Cerchiamo di rispondere qui alle domande di alcuni lettori, interessati a comprendere meglio le dinamiche del confronto sindacale e le condotte che sono esplicitamente vietate dalla legge.
E’ definita “sindacato giallo” un’organizzazione, asservita al datore di lavoro o ad altri soggetti portatori di interessi contrapposti a quelli dei lavoratori (che il sindacato giallo afferma di rappresentare) e che persegue lo scopo di rompere l’unità dei lavoratori o di attivare iniziative di disturbo all’attività sindacale condotta dalle associazioni sindacali indipendenti organizzate secondo criteri democratici e trasparenti.
L’art. 17 dello Statuto dei lavoratori (legge 20.5.1970, n. 300), rubricato «Sindacati di comodo», dispone che «è fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori». La norma in questione intende vietare una pratica sleale attuata dai datori di lavoro nei confronti delle associazioni sindacali dei lavoratori, mediante comportamenti diretti ad interferire nella vita associativa degli organismi rappresentativi, al precipuo fine di assoggettare il sindacato stesso alla volontà datoriale, rendendolo interlocutore accomodante, malleabile, addomesticato, arrendevole, “comodo”.
Con tale norma si è inteso colpire quindi il fenomeno di organizzazioni sindacali apparentemente antagoniste, ma in realtà asservite agli interessi del datore di lavoro, in quanto sostanzialmente favorite, in vario modo, da quest’ultimo.
Il legislatore ha voluto quindi impedire che il datore di lavoro, parte solitamente più forte nel conflitto collettivo, possa servirsi di un interlocutore interno al cosmo delle organizzazioni sindacali dei lavoratori al fine di alterare (ulteriormente) la dinamica sindacale; la promozione o il sostegno di uno specifico sindacato, infatti, si qualificano come atti d’ingerenza nell’esercizio dell’attività sindacale riconosciuta al lavoratore, e la dannosità di tali comportamenti si rinviene in special modo nelle fasi di negoziazione contrattuale, di predisposizione di una vertenza o di un’astensione collettiva.
L’articolo 17 elenca i soggetti destinatari del divieto e cioè tutte le categorie di datori di lavoro (imprenditori ed enti pubblici) e tutte le associazioni che propugnano gli interessi di parte datoriale (sindacali o di altro genere).
Il diritto, riconosciuto a tutti i lavoratori dall’art. 14 del medesimo testo normativo, di associarsi e di svolgere attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro, infatti, «sarebbe vano se non si impedisse un qualsiasi inquinamento della libera determinazione dei lavoratori nelle scelte di natura sindacale»
La presenza di sindacati di comodo, «comprimendo lo spazio operativo degli altri sindacati e, quindi, almeno in modo indiretto, la libertà di associazione dei singoli» rischierebbe di condizionare pesantemente la volontà del singolo lavoratore che potrebbe conferire il suo consenso ad un sindacato che non sarebbe propriamente rappresentativo dei suoi interessi.
E’ evidente che il sindacato di comodo non tutela la promozione degli interessi collettivi dei lavoratori, opposti a quelli della controparte datoriale. Il sindacato dei lavoratori, infatti, guarda al conflitto come a un momento naturale, ineliminabile della propria funzione, «conflittualità che fonda le sue origini nella distribuzione dicotomica del potere nei (e dei) processi produttivi» e che verrebbe meno allorché il datore di lavoro si sia creato un interlocutore del tutto arrendevole alle richieste dell’azienda. Dietro lo schema di un fittizio carattere antagonistico, infatti, il sindacato di comodo «non lotta, o, se lotta, lo fa in modo simbolico». La genuinità del sindacato, infatti, la si ravvisa nella sua spontaneità, intesa come indipendenza da interferenze imprenditoriali, le quali farebbero venir meno la naturale sussistenza del conflitto, quale elemento caratterizzante la normale dialettica sindacale.
Peraltro tutte le norme del Titolo II dello Statuto dei lavoratori, in modi diversi, sono indirizzate a creare nel rapporto di lavoro lo spazio necessario all’esplicazione della libertà sindacale, che sarebbe fortemente compromessa laddove il datore di lavoro incentivasse la costituzione o sostenesse, con qualsiasi mezzo, associazioni sindacali dei lavoratori non genuine.
Il divieto suddetto, peraltro, non esclude l’esistenza dei sindacati gialli, in quanto le finalità perseguite dal datore di lavoro o da istituzioni e gruppi di potere portatori di interessi contrari ai lavoratori possono essere realizzate da sindacati costituiti, sostenuti e organizzati da lavoratori compiacenti alla volontà del datore di lavoro o di tali istituzioni e gruppi di potere.
In tale caso diviene rilevante, al fine di distinguere un sindacato giallo da un sindacato che opera secondo linee sindacali semplicemente moderate, verificare la rappresentatività del sindacato e l’assenza di meccanismi di sostegno, anche non finanziari, attivati da soggetti che perseguono interessi contrapposti a quelli dei lavoratori.
L’ambito oggettivo della norma è alquanto esteso: si ricomprendono, infatti, atti di favoritismo, di collusione, discriminatori, di riconoscimento di una fittizia forza contrattuale; l’organizzazione di comodo viene strumentalizzata per generare confusione e divisione tra i lavoratori in situazioni di conflitto, e viene incentivata l’adesione al sindacato di comodo attraverso quella che, storicamente, è stata definita “politica delle mance” (erogazione di benefici per ottenere il consenso).
Il Tribunale di Vicenza, l’11 aprile 2001, ha incluso nell’alveo delle condotte antisindacali in oggetto, proprio in riferimento alla fraudolenta concessione di emolumenti, il riconoscimento di un trattamento retributivo di maggior favore al sindacalista di punta di una specifica associazione sindacale: il giudice di merito aveva riconosciuto che il comportamento del datore di lavoro fosse suscettibile di turbare la normale dialettica sindacale.
E’ chiaro quindi che il “sostegno” può assumere le forme più svariate. L’espressione volutamente generica del legislatore allude ad una varietà di ipotesi concrete di sostegno, non necessariamente economico. Mentre, infatti, il finanziamento economico diretto è raro, più frequenti sono le forme di assistenza indiretta, favoritismi, collusioni, promozioni agli esponenti sindacali di comodo, condizionamenti e discrezionalità nella definizione dei livelli gerarchici, in cambio di una linea morbida non rispondente agli interessi e alla tutela dei lavoratori.
Si tratta, per concludere, di fenomeni di estrema gravità, espressamente vietati dalla legge. In questo quadro diventa di prioritaria importanza la prevenzione. E’ indispensabile che tutti i livelli del Sindacato, a partire dagli iscritti, vigilino sull’azione sindacale e intercettino tempestivamente i segnali che testimoniano uno scadimento nel confronto democratico e nelle relazioni sindacali, coinvolgendo anche i livelli superiori del Sindacato, prima che la situazione si aggravi e diventi difficile riportarla nell’alveo della legalità.
Fonti e riferimenti:
Sindacati di comodo di Vincenzo Bavaro, Donato Marino – Diritto on line (2017)
Sindacati di comodo – condotta antisindacale del datore di lavoro di Rossella Giuliano – Ius in itinere(2017) – Diritto sindacale
Sindacati di comodo – Enciclopedia Treccani
Sindacato giallo – WordPress.com (2017)
La redazione del Sivemp Veneto