Il Corriere della Sera. Risveglio amaro, ieri, in Veneto con 5.010 nuovi positivi al Covid-19, 94 morti ma, soprattutto, un tasso di positività schizzato al 36,3%, tre volte la media nazionale. Una débâcle? Una spallata alla narrazione sulla migliore macchina sanitaria d’Italia e anche a quel permanere in zona gialla motivo d’orgoglio per il presidente della Regione, Luca Zaia? Il dibattito dilaga da settimane in Veneto e ormai ruba sempre più spazio anche nelle riunioni al ministero della Salute. Cosa sta succedendo? Rispetto ai dati di ieri mattina, la difesa è sempre la stessa: l’elevato numero di tamponi rapidi affiancato a quelli molecolari falsa l’indice di incidenza. Secondo Zaia «più tamponi mirati fai, più positivi trovi». Eppure, i morti non mentono. Ieri in Italia si piangevano 261 vittime di cui 94 in Veneto. Di ieri l’annuncio della direttrice dell’Istituto zooprofilattico delle Tre Venezie, Antonia Ricci, dopo il sequenziamento di numerosi campioni: in Veneto ci sono almeno tre casi di «variante inglese» e altre due mutazioni «probabilmente locali» e «probabilmente più contagiose». Questa e non i lunghi mesi in zona gialla, secondo la Regione, potrebbe essere la causa di un contagio dilagante con il suo straziante tributo di vite umane.
I dubbi degli esperti
Esperti come l’immunologa Antonella Viola, però, dissentono: «Non abbiamo dati per valutare se le varianti sono tanto diffuse da aver inciso sul contagio. A oggi no, non mi convince questa spiegazione. Mi pare altamente improbabile. Ciò che, per contro, abbiamo imparato in questi mesi è che le zone arancione e rossa hanno funzionato e la gialla no. Con un’alta diffusione del virus le mezze misure non funzionano». La lenta ma costante risalita non accenna a scendere e Fabio Ciciliano, esperto di medicina nelle catastrofi, segretario del Cts, conferma che in Veneto sta accadendo qualcosa di diverso rispetto al resto d’Italia: «I numeri delle ultime 24 ore sono in linea con la crescita dei contagi che si registra da alcune settimane, in controtendenza con il dato nazionale». La domanda è: perché? La risposta riconosce, paradossalmente, la grande efficienza della macchina sanitaria veneta: «L’alta incidenza di casi positivi in parte si spiega con il gran numero di tamponi effettuati, che si abbina a un tracciamento molto efficiente e a un grandissimo ricorso ai test rapidi antigenici e tutto ciò fa sì che i tamponi molecolari in particolare siano mirati su persone con elevate possibilità di risultare positive — spiega Ciciliano —. Questa precisazione tecnica non basta, però, e se risultano così tanti positivi e perché c’è comunque una forte circolazione del virus. E ciò dipende in parte, in maniera paradossale, dalla grande capacità di resilienza del sistema sanitario, che ha permesso al Veneto di restare classificato come zona gialla. In questa maniera il virus ha potuto diffondersi più velocemente rispetto alle regioni arancioni o rosse».
Indicatori sotto accusa
Non li si nomina, ma sul banco degli imputati finiscono proprio i 21 parametri secondo cui una regione diventa arancione o resta gialla. In Veneto i 1.000 posti letto di terapia intensiva attivabili (al momento ce ne sono 395 occupati da pazienti Covid) hanno influito molto sulla tenuta del sistema consentendo alla regione di restare gialla e al virus di diffondersi. Anche dall’Iss filtra un moltiplicarsi di dubbi sull’efficacia del metodo adottato, sia sulla scelta degli indicatori, sia sulla capacità di risposta in tempi rapidi al mutare del quadro epidemiologico di un dato territorio. La parola chiave è «paradosso» e il Veneto, in questo senso, potrebbe diventare un caso emblematico su cui modellare un nuovo sistema di parametri ma anche della capacità di «leggere» e declinare i numeri che settimanalmente le regioni inviano a Roma: dalla capacità di presa in carico al tracciamento, dal numero di tamponi al sempre fondamentale indice di contagio Rt passando per i numeri che definiscono la tenuta del sistema sanitario, posti letto in intensiva inclusi.
L’esperienza delle ultime settimane in Veneto sta dimostrando come possano bastare anche pochissimi giorni di troppo in zona gialla per assistere alla nascita di nuovi focolai. Nel processo di valutazione complessivo sui diversi colori potrebbe, insomma, diminuire il peso specifico dei posti letto in intensiva che ha tenuto giallo il Veneto fino agli esiti di questi giorni.
Il giallo dei posti letto
Di «terapie intensive dopate» per restare in area gialla ha parlato a lungo nelle scorse settimane il segretario regionale di Anaao, sindacato dei medici ospedalieri, Adriano Benazzato. Suo l’allarme sulle «braccia» che scarseggiano: medici, infermieri e operatori sono troppo pochi e allo stremo, «già a dicembre 2019 la Regione certificava che mancavano 149 anestesisti all’appello». Figure fra le poche titolate ad operare in terapia intensiva. L’effetto domino, infatti, non si ferma qui. Se i 1.000 posti letto di terapia intensiva esistono davvero con tanto di spazi e attrezzature già pronte, ciò che scarseggia sono le risorse umane. L’upgrade a letti, respiratori e monitor è stato fatto in maniera impeccabile ma i bandi per nuove assunzioni di medici, infermieri e operatori vanno deserti. Con il risultato che l’attività ordinaria, non emergenziale e gli screening sono rinviati anche di parecchi mesi. Per Domenico Crisarà, segretario Fimmg in Veneto, ai 21 parametri ce n’è uno da aggiungere: «La responsabilità dei cittadini che in Veneto è mancata». «Sicuramente il fatto che non ci sia stata una chiusura totale ha influito — spiega Crisarà — ma temo abbiano influito davvero molto i comportamenti. Lungi da me assolvere e giustificare, com’è noto sono spesso in disaccordo col presidente Zaia, ma in questi giorni penso alle piste da fondo sull’Altopiano di Asiago, nel Vicentino. Uno sport universalmente considerato “da sfigati”, mi si passi il termine. Ebbene, nelle scorse settimane erano piene, strapiene, pare il nuovo sport nazionale dei veneti. E già le cose andavano male…».