Nelle ultime settimane, accanto ai bollettini che seguono l’andamento epidemiologico di Covid-19, particolare rilievo hanno anche avuto quelli che seguono quello delle infezioni da West Nile Virus. Non si tratta di un virus nuovo, affatto: ogni anno si segnalano casi, in media una sessantina, e sporadici decessi. Quest’anno però il numero è più elevato e al momento si stanno raggiungendo picchi mai osservati negli ultimi anni, ad eccezione del 2018, ritenuto un anno quando si registrarono oltre 600 casi e 49 decessi. Negli ultimi giorni le notizie che si rincorrono sul West Nile sono quelle di misure straordinarie di disinfestazione, code e distribuzioni di pastiglie di larvicida nelle zone del Nord Italia, per cercare di eliminare i vettori della malattia, le zanzare del genere Culex (soprattutto la zanzara C. pipiens), perché i casi continuano ad aumentare. Perché?
Il virus West Nile, la situazione in Italia
Le zanzare sono portatrici del virus (del genere Flavivirus, famiglia Flaviviridae), che in natura ha come serbatoio gli uccelli, e possono trasmetterlo all’uomo così come ai cavalli e altri mammiferi. Ma sia nei cavalli che nell’uomo il virus non raggiunge nel sangue livelli tali da infettare nuovi vettori, spiega il ministero della Salute, al punto che per entrambi si parla di ospiti ciechi. Non si trasmette da uomo a uomo tramite contatto occasionale, sebbene siano stati documentati casi di infezione negli operatori di laboratorio. In Italia è presente dalla fine degli anni Novanta, anche se per una decina di anni non è stata identificata la circolazione del virus, ricorda l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, e normalmente i focolai si concentrano tra luglio e settembre.
Il bollettino dei casi in Veneto aggiornato al 9 settembre
West Nile virus, le diverse forme della malattia
Se infatti generalmente l’infezione è asintomatica, circa un 20% dei pazienti sviluppa la malattia, per lo più con sintomi influenzali (come febbre, dolori ai muscoli e alle articolazioni, mal di gola, rash, nausea, vomito, rash), che scompaiono spesso da sé. Ma una piccola parte può andare incontro a complicazioni e sviluppare la forma neuroinvasiva, con casi di meningiti o encefaliti, caratterizzata da febbre alta, disorientamento, tremori, convulsioni, paralisi, coma, soprattutto nelle persone più fragili, per comorbidità ed età. Gli americani Cdc parlano di 10% dei pazienti con forme gravi che possano morire, ma le stime in alcuni casi sfiorano anche il 20%. In Italia, dall’inizio della stagione, sono stati registrati 24 decessi: a livello europeo è il paese più colpito, seguito da Grecia e Romania, con numeri ben più bassi.
Un (altro) anno eccezionale per il West Nile Virus?
Guardandosi indietro, la diffusione del West Nile Virus negli ultimi tempi è cresciuta e i motivi, neanche a dirlo, andrebbero ricercati nei cambiamenti climatici. Uno studio apparso lo scorso anno su One Health suggerisce infatti che le ragioni dell’aumentata diffusione della malattia vadano ricercati in una serie di fattori, quali l’aumento delle temperature invernali ed estive. L’aumento delle temperature avrebbe infatti favorito le zanzare in modi diversi: permettendo loro di svernare e influenzando nel complesso il loro ciclo vitale. Ma anche la siccità potrebbe aver svolto un ruolo, sebbene possa sembrare paradossale, forse portando più vicini e favorendo la trasmissione del virus, uccelli e zanzare.
Lo spiega a Wired anche Federica Monaco, ricercatrice dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” di Teramo e referente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (OIE) per la West Nile Fever. “Quest’anno a differenza del 2018, quando ci fu una primavera calda e piovosa che causò un’esplosione di zanzare in pochissimo tempo, favorendo la circolazione del virus, abbiamo avuto una primavera secca, con una riduzione dei corpi idrici”. Queste zone residuali però potrebbero però aver favorito la concentrazione di zanzare e dell’avifauna, una sorta di hot-spot per la circolazione del virus, prosegue Monaco. Le prime piogge, anche se poche, e le temperature sempre miti hanno poi fatto il resto: “Ogni volta che ci sono le condizioni ideali nelle zone endemiche, il West Nile virus si ripresenta – riprende Monaco – e l’area della Pianura Padana, ricca di umidità e avifauna, è una zona a rischio. Da quando è presente costantemente in Italia, dal 2008, il West Nile ha risalito la Pianura Padana. Storicamente segnalazioni ci sono state anche altrove, in gran parte d’Italia, ma evidentemente non ci sono state le condizioni che permettono al virus di sopravvivere all’inverno all’interno di insetti e uccelli”.
Due “diversi” virus in circolo
Il 2022 però è un anno particolare anche per un altro motivo, anche se non è chiaro se questo possa legarsi al picco di infezioni. “Quest’anno stiamo osservando la cocircolazione di due diversi lineage virali ed è una cosa un po’ anomala, almeno rispetto a quanto storicamente osservato dal 2008″, riprende la ricercatrice. “Dal 2008 abbiamo sempre visto la prevalenza di un ceppo virale, il WNV2, ma quest’anno stiamo osservando la cocircolazione anche di WN1, sia negli animali che negli esseri umani. Non sappiamo cosa significhi, ma è un fattore da considerare: vorremmo capire perché un ceppo che sembrava sopito, il WNV1, torni ora alla ribalta”. Su quello che accadrà nelle prossime settimana la Monaco è cauta. Fare previsioni è impossibile, ma è più che verosimile che fin tanto che ci saranno delle zanzare ci saranno ancora dei casi: “Il virus va incontro a delle fluttuazioni annuali, fisiologiche, legate alle popolazioni di vettori, ma anche alla popolazione suscettibili. E non essendoci un vaccino per l’uomo tutti sono suscettibili”.
WIRED