Il vasto incendio scoppiato il primo luglio alla Isello Vernici, che produce tra l’altro coloranti per la concia delle pelli e per l’edilizia, di via Orna a Brendola (Vicenza) induce a una riflessione sulle conseguenze ambientali e il loro impatto sulla risorsa idrica
Premessa
Le schiume anti-incendio. Le schiume anti-incendio per materiale liquidi infiammabili, quali combustibili e vernici a base di solventi sono di tipo B, e tradizionalmente prevedono l’utilizzo di PFAS a lunga o corta catena, anche se ultimamente si sta valutando l’efficacia di schiume antincendio di tipo B PFAS-free.
Poiché la vita commerciale di una schiuma a base di PFAS si aggira sui 25 anni, è possibile/probabile che siano ancora in uso schiume con PFAS a lunga catena, dove sono presenti precursori di PFOS e di PFOA.
La presenza di PFAS, per le loro proprietà tensioattive e capacità di solubilizzarsi nel combustibile, al momento viene ritenuta di estrema efficacia nel separare l’aria dai vapori infiammabili, evitare il rilascio di vapori dal liquido, separare la fiamma dal liquido, e raffredda il liquido infiammabile. Pertanto, costituiscono la scelta primaria soprattutto per incendi di elevata gravità, nel quadro dell’utilizzo secondo le migliori pratiche disponibili, per limitare gli impatti ambientali.
Qualsiasi fluido proveniente dallo spegnimento degli incendi, anche PFAS-free, può ritenersi rischioso per l’ambiente, tanto che la prima raccomandazione è quella di raccoglierlo/contenerlo perché non raggiunga i corpi idrici.
In questo, un dettaglio sui presidi antincendio utilizzati nel domare le fiamme a Brendola, unitamente alle sostanze presenti nel sito produttivo che ha originato il rogo è di aiuto per capire se tale evento può influenzare la contaminazione da PFAS del territorio nel medio-lungo periodo.
L’attività del NIAT (Nucleo Investigativo Antincendio Territoriale) e la relazione all’autorità giudiziaria si spera possa dare utili elementi di conoscenza per meglio delineare il rischio ambientale “cronico” posto in essere da un episodio acuto.
La geologia del territorio
Il dilavamento dei fluidi di spegnimento incendio nei corsi d’acqua, la idrogeologia del sito (possibile interessamento della falda per la permeabilità del terreno), al di là dei casi di tossicità acuta della fauna acquatica registrati, possono meglio inquadrare i possibili impatti a medio-lungo termine sulla risorsa idrica superficiale e profonda e sul suo utilizzo.
L’incendio si è sviluppato proprio al confine tra due zone di suolo a differente permeabilità, e risulta pertanto dirimente conoscere quale direzione abbiano preso i fluidi di spegnimento. (mappa geologica dei terreni del basso Vicentino, e localizzazione dell’incendio al confine di suoli caratterizzati da una bassa e moderatamente alta capacità protettiva dell’acqua di falda e superficiale
Il possibile interessamento della falda dai fluidi dello spegnimento dell’incendio è stato chiamato in causa da Confagricoltura Vicenza, e di fatto ripropone la domanda se alcune attività produttive, per numero, tipologia di lavorazione, e quantità prodotti, siano compatibili con la carta del territorio e la permeabilità dei suoli e l’utilizzo sicuro della risorsa ambientale ai fini alimentari.
Il pesce persico sentinella ambientale
In questo, il dettaglio delle specie ittiche morte nel Brendola, potrebbe rivestire importanti aspetti, specie se mancassero all’appello le specie carnivore quale il persico trota e il persico sole (nella foto), che sono all’apice della catena trofica nelle acque interne superficiali.
Tali specie a livello internazionale ed europeo sono stati prese in considerazione, per legare tra di loro le concentrazioni di PFAS nell’acqua e nel biota acquatico, sia ai fini eco-tossicologici, che a fini di salute alimentare, tramite il consumo della risorsa ittica: gli ormai famosi standard di qualità ambientale (SQA) che necessitano di essere rivisti in base ai nuovi valori guida per la salute di EFSA per PFOS e PFOA del 2018.
Consultando lo storico delle specie ittiche presenti nei corsi d’acqua vicentini, si nota una progressiva diminuzione della presenza delle specie Persico, laddove il persico sole veniva ritenuto praticamente ubiquitario all’inizio degli anni 2000 su tutta l’asta dei fiumi.
Questo dato viene confortato anche dalla testimonianza dei numerosi pescatori, che ritrovano il persico solo in alcuni laghetti ricavati da cave nella zona Rossa, probabilmente alimentati da acque “meno” contaminate. Poi il pesce ricompare nelle zone della “bassa”, probabilmente anche come conseguenza degli apporti “vivificatori” del LEB, dato e non concesso che le portate del canale siano in futuro adeguate alla diluizione della contaminazione.
Di sicuro la conoscenza della contaminazione da PFAS e da altro nel persico ha una valenza maggiore rispetto ad altri pesci non ittiofagi.
Nel monitoraggio dei pesci di cattura eseguito nel 2017 nella zona “rossa” nell’ambito del piano alimenti (risultati ancora non pervenuti), il persico non risulta tra le specie considerate, nonostante sia indicato nelle specifiche linee guida che riguardano l’attuazione della Strategia Quadro sulle Acque, da parte di ISPRA. La specie più ”carnivora” catturata ed analizzata risulta essere il barbo, con Livello Trofico di 3,1 contro il 4,4 del persico.
Bisogna sapere che pesci prendere
Tale considerazione porta a suggerire che il problema inquinamento e PFAS si risolverà nelle acque superficiali venete quando il persico trota e il persico sole torneranno ad essere ubiquitari. E la presenza e riproduzione di tali pesci (non immessi artificialmente) potrà essere indicativo di un utilizzo più sicuro delle acque superficiali. In questo i pescatori possono collaborare a stilare la mappa di qualità delle acque venete, e casomai a condividerla con agricoltori e allevatori. (l’immagine sotto che riproduce il torrente Brendola è tratta dalla pagina Facebook Uniti per Brendola)
(riproduzione ammessa solo citando la fonte – testo raccolto a cura della redazione)