È illegittima la normativa di uno Stato membro che non limita il numero e la durata complessiva dei rinnovi del contratto a tempo determinato: questo il principio affermato dalla Corte di giustizia europea con la sentenza depositata ieri (causa C-16/15). Tale principio si pone in assoluta continuità con la giurisprudenza precedente, e non sembra destinato a scalfire in alcun modo la tenuta della normativa italiana (Dlgs 81/15), in quanto questa contiene già tutti quei limiti che la Corte individua come imprescindibili ai fini della compatibilità con il diritto comunitario (il contratto non può eccedere la durata massima di 36 mesi, compresi proroghe e rinnovi, e questi non possono essere in numero superiore a 5).
La vicenda riguarda la legislazione sul lavoro a tempo determinato vigente in Spagna; una lavoratrice impiegata da una struttura sanitaria pubblica mediante diversi contratti (un primo rapporto seguito da sette rinnovi, per una durata complessiva di oltre 4 anni) a tempo determinato, dopo la fine dell’ultimo rapporto, ha avviato una causa invocando l’eccessiva reiterazione dei contratti.
Il giudice spagnolo ha sollevato presso la Corte di giustizia europea la questione della compatibilità della legislazione spagnola con il diritto comunitario, nella parte in cui questa non limita i rinnovi dei contratti a termine.
La Corte di giustizia ricorda, innanzitutto, che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro comunitario sul lavoro a termine persegue lo scopo specifico di limitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo determinato.
Per contenere questo fenomeno, l’accordo quadro individua tre possibili strumenti: l’individuazione di ragioni obiettive che giustificano il rinnovo, la fissazione di un tetto di durata massima complessiva dei contratti e, infine, la un limite massimo al numero dei rinnovi.
Gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità in merito a tali misure (possono scegliere di utilizzarne solo una, oppure usarle in combinazione tra loro), a condizione che sia effettivamente perseguito l’obiettivo di contenere in maniera efficace il numero di rinnovi.
Nel caso della legislazione spagnola, la Corte di giustizia europea ritiene che questi elementi non siano presenti, per diversi motivi.
Tale normativa non autorizza l’uso indiscriminato dei contratti a termine, perché ne consente l’utilizzo soltanto per esigenze di natura temporanea, congiunturale o straordinaria; tuttavia, la stessa disciplina risulta lacunosa, nella parte in cui consente di utilizzare i rapporti a tempo determinato per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nel servizio sanitario che appartengono alla normale attività del servizio ospedaliero ordinario.
Questa lacuna si sostanzia, secondo la sentenza, nella mancata fissazione di un limite massimo al numero (oppure alla durata) dei rinnovi: tale carenza contraddice, infatti, la premessa sulla quale si fonda l’accordo quadro comunitario, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro.
Giampiero Falasca – IL Sole 24 Ore – 15 settembre 2016