La normativa dell’Unione che armonizza l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti e, quindi anche del latte, non osta all’adozione di disposizioni nazionali che impongono ulteriori indicazioni d’origine o di provenienza. Tuttavia, l’adozione di queste indicazioni è possibile, tra le altre condizioni, solo se esiste un nesso oggettivamente comprovato tra l’origine o la provenienza di un alimento e talune sue qualità.
E’ questa la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia UE sul ricorso (causa C-485/18) presentato dal Gruppo Lactalis diretto all’annullamento del decreto francese che impone, tra l’altro, alle imprese del paese di indicare in etichetta l’origine del latte fresco e usato come ingrediente negli alimenti preimballati, modello poi seguito da altri Stati europei, tra cui l’Italia.
La società aveva infatti proposto un ricorso contro il Premier ministre (Primo Ministro, Francia), il ministre de la Justice (Ministro della Giustizia, Francia), il ministre de l’Agriculture et de l’Alimentation (Ministro dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, Francia) nonché il ministre del’Économie et des Finances (Ministro dell’Economia e delle Finanze, Francia), sostenendo che il decreto fosse una violazione del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011)1 .
Il Consiglio di Stato della Francia ha sottoposto alla Corte di giustizia diverse questioni riguardanti l’interpretazione di tale regolamento.
In primo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se detto regolamento autorizzi gli Stati membri ad adottare disposizioni che impongono ulteriori indicazioni obbligatorie dell’origine o della provenienza del latte e del latte usato quale ingrediente.
A tal riguardo, la Corte rileva che il regolamento n. 1169/2011 prevede, in maniera armonizzata, l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti diversi da talune categorie di carni, e quindi del latte e del latte usato quale ingrediente, nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore i consumatori.
Tuttavia, la Corte osserva che tale armonizzazione non osta a che gli Stati membri adottino disposizioni che prevedono ulteriori indicazioni obbligatorie d’origine o di provenienza, se queste ultime rispettano le condizioni elencate nel regolamento n. 1169/2011: da un lato, siffatte indicazioni devono essere giustificate da uno o più motivi attinenti alla protezione della salute pubblica, alla protezione dei consumatori, alla prevenzione delle frodi, alla protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni d’origine controllata, nonché alla repressione della concorrenza sleale; dall’altro, la loro adozione è possibile solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità degli alimenti di cui trattasi e la loro origine o provenienza e ove gli Stati membri forniscano elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.
Per quanto riguarda questi requisiti, la Corte precisa che essi devono essere esaminati in successione. Occorre quindi, in un primo tempo, verificare l’esistenza di un nesso comprovato tra talune qualità del prodotto alimentare in questione e la sua origine o provenienza. Se l’esistenza di un tale nesso è dimostrata, è inoltre necessario, e solo in un secondo tempo, stabilire se la maggior parte dei consumatori attribuisca un valore significativo alla fornitura di tali informazioni. Di conseguenza, la valutazione dell’esistenza di un nesso comprovato non può basarsi su elementi soggettivi, attinenti al valore dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra talune qualità dell’alimento di cui trattasi e la sua origine o provenienza.
Infine, per quanto riguarda la nozione di “qualità” degli alimenti, la Corte osserva che tale nozione rinvia esclusivamente alle qualità che sono legate all’origine o alla provenienza di un dato alimento e che distinguono, di conseguenza, quest’ultimo dagli alimenti che hanno un’altra origine o un’altra provenienza. Ciò non avviene per la capacità di resistenza di un alimento quale il latte al trasporto e ai rischi di alterazione nel corso del tragitto, che non può quindi essere rilevante ai fini della valutazione dell’esistenza di un eventuale “nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza” né, di conseguenza, al fine di consentire l’imposizione di un’indicazione d’origine o di provenienza per quanto riguarda detto alimento.
In una nota in coda alla sentenza è inoltre sottolineato che il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
1 – Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU 2011, L 304, pag. 18).
Fonte: Corte di giustizia dell’Unione europea