Sembra scontato ma evidentemente non lo è: non c’è alcuna discrezionalità da parte del medico ospedaliero né di scegliere la specializzazione in cui esercitare la libera professione né di cambiare i giorni e gli orari concordati e autorizzati da parte dell’azienda di appartenenza. La precisazione è arrivata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la Sicilia, con la sentenza n. 22/2012 del 24 gennaio. I giudici contabili hanno sostanzialmente bocciato l’appello proposto da un chirurgo vascolare di un ospedale palermitano, condannato nel 2010 a risarcire all’Erario 44.194,6 euro (pari all’indennità di esclusiva percepita indebitamente) per aver ripetutamente violato la normativa relativa alla libera professione intra-muraria.
Il medico l’aveva esercitata infatti anche in discipline diverse dalla sua, al di là dei paletti temporali concordati, in una struttura accreditata provvisoriamente con il Ssn e senza rispettare gli obblighi di documentazione dell’attività e di versamento dei compensi. In sede penale, peraltro, aveva patteggiato la pena per i reati di peculato e truffa aggravata. Il medico ha contestato la pronuncia del 2010, sostenendo di aver agito in buona fede e aggiungendo che le disposizioni in materia individuano un unico limite all’intramuraria: che sia effettuata al di fuori dell’impegno di servizio. A suo avviso, gli orari e i giorni concordati valgono soltanto a titolo indicativo.
Una tesi che la sezione d’appello smonta totalmente, citando l’articolo 5 del Dpcm 27 marzo 2000 che regola la materia specifîcando proprio il contrario: al medico è consentito svolgere l’intramoenia, anche allargata, soltanto nella disciplina di appartenenza e soltanto nei modi e nei tempi preventivamente autorizzati dall’azienda, anche per garantire comunque all’attività istituzionale un carattere prioritario. L’inciso «e comunque al di fuori dell’orario di servizio» non significa che al di fuori di tale orario «vi sia una libertà assoluta di esercizio dell’attività ma costituisce invece una limitazione ulteriore, nel senso che in ogni momento, anche nei giorni o nelle ore concordati e autorizzati si dovrà dare la preferenza agli impegni istituzionali». La condotta del dottore, insomma, è stata caratterizzata dal «massimo spregio delle prescrizioni a lui imposte». Unica concessione: l’abbassamento della somma da versare all’ospedale da 44.194,6 euro a 40.286,99 che era l’originaria somma chiesta nell’atto di citazione. Ma il medico dovrà pagare anche 563,86 euro di spese di giudizio.
Il Sole 24 ore – 28 febbraio 2012