Nei casi in cui la durata massima del periodo di comporto sia espressa in mesi, ciascuno vale 30 giorni e non il numero di giorni effettivi, che varia da 28 a 31.
Lo ha stabilito la Corte di appello di Milano (presidente Sala, relatore Vignati) che, con la sentenza 890 del 6 aprile 2017, ha affrontato il difficile compito di decidere se i 18 mesi di comporto, nel caso concreto previsti dal Ccnl metalmeccanici Confapi, fossero stati superati, dal momento che il contratto non regola in modo espresso le modalità di conteggio. Il ragionamento della Corte, bene esposto nella sentenza, può essere di guida anche nel caso di previsioni analoghe contenute in contratti collettivi diversi.
Nella vicenda posta al vaglio della Corte di appello, la ricorrente sosteneva che non vi sarebbe stato alcun superamento del periodo di comporto. A sua detta, in assenza di espressi parametri negoziali, i giorni di malattia necessari per saturare il periodo di comporto, espresso in mesi, avrebbero dovuto essere calcolati secondo il criterio del calendario comune – in base agli articoli 155 del codice di procedura civile e 2963 del codice civile: il conteggio avrebbe così portato a collocare la soglia del comporto a un numero di giorni maggiore dell’assenza effettiva.
I giudici di appello hanno ritenuto infondate le eccezioni proposte dalla lavoratrice per due ragioni:
il Ccnl metalmeccanici Confapi fa riferimento al calendario comune come criterio di conteggio solo in via eccezionale e con riguardo a questioni che trascendono il computo delle assenze per malattia e del periodo di conservazione del posto di lavoro;
solo adottando un criterio univoco, che prescinda dall’effettiva durata del mese in cui ricorre la malattia, si assicurano omogeneità e uniformità di trattamento e si evitano incertezze nella quantificazione delle giornate di assenza, a seconda dei momenti in cui si verificano gli stati di malattia.
A supporto del secondo argomento, la sentenza richiama i principi sanciti dalla Corte di cassazione nel luglio 2016 nell’ambito di una fattispecie regolata da un diverso contratto collettivo, che pure fissava il comporto in 18 mesi. Anche in quel caso, ad avviso dei giudici, mancando clausole di computo diverse, si doveva ritenere che il calcolo delle assenze dovesse essere effettuato contando 30 giorni per ogni mese, anche se le assenze ricadono in mesi dell’anno di differente durata. Di conseguenza, 18 mesi di comporto equivalgono sempre a 540 giorni.
A margine della questione principale, la Corte d’appello ha trovato poi il modo di aggiungere alcune puntualizzazioni di cui vale la pena far menzione.
Nella battaglia dei conteggi sul comporto, era emersa la questione di singole giornate rimaste scoperte tra una prognosi e l’altra: a parere dei giudici si tratta di giorni destinati a essere qualificati come assenze ingiustificate (e non conteggiati nel comporto). La corte respinge altresì il “doppio” conteggio di uno stesso giorno in prognosi successive, in cui il giorno di fine di una prognosi e l’inizio dell’altra si sovrappongono.
Infine, dal momento che la lettera di licenziamento aveva, ad abundantiam, invocato l’eccessiva morbilità della lavoratrice (1.839 giorni di assenza in circa 8 anni di lavoro, ma conteggiando tra le assenze anche le astensioni per maternità) e questa era stata riconosciuta dal tribunale, la corte chiarisce che la sommatoria tra malattia e maternità è da ritenersi inconcepibile.
Tutti gli operatori sanno quanto sia irto di incertezze il calcolo dei limiti del comporto: di sicuro i chiarimenti della Corte milanese saranno un aiuto prezioso per molti.
Il Sole 24 Ore – 23 maggio 2017
Nei casi in cui la durata massima del periodo di comporto sia espressa in mesi, ciascuno vale 30 giorni e non il numero di giorni effettivi, che varia da 28 a 31.
Lo ha stabilito la Corte di appello di Milano (presidente Sala, relatore Vignati) che, con la sentenza 890 del 6 aprile 2017, ha affrontato il difficile compito di decidere se i 18 mesi di comporto, nel caso concreto previsti dal Ccnl metalmeccanici Confapi, fossero stati superati, dal momento che il contratto non regola in modo espresso le modalità di conteggio. Il ragionamento della Corte, bene esposto nella sentenza, può essere di guida anche nel caso di previsioni analoghe contenute in contratti collettivi diversi.
Nella vicenda posta al vaglio della Corte di appello, la ricorrente sosteneva che non vi sarebbe stato alcun superamento del periodo di comporto. A sua detta, in assenza di espressi parametri negoziali, i giorni di malattia necessari per saturare il periodo di comporto, espresso in mesi, avrebbero dovuto essere calcolati secondo il criterio del calendario comune – in base agli articoli 155 del codice di procedura civile e 2963 del codice civile: il conteggio avrebbe così portato a collocare la soglia del comporto a un numero di giorni maggiore dell’assenza effettiva.
I giudici di appello hanno ritenuto infondate le eccezioni proposte dalla lavoratrice per due ragioni:
il Ccnl metalmeccanici Confapi fa riferimento al calendario comune come criterio di conteggio solo in via eccezionale e con riguardo a questioni che trascendono il computo delle assenze per malattia e del periodo di conservazione del posto di lavoro;
solo adottando un criterio univoco, che prescinda dall’effettiva durata del mese in cui ricorre la malattia, si assicurano omogeneità e uniformità di trattamento e si evitano incertezze nella quantificazione delle giornate di assenza, a seconda dei momenti in cui si verificano gli stati di malattia.
A supporto del secondo argomento, la sentenza richiama i principi sanciti dalla Corte di cassazione nel luglio 2016 nell’ambito di una fattispecie regolata da un diverso contratto collettivo, che pure fissava il comporto in 18 mesi. Anche in quel caso, ad avviso dei giudici, mancando clausole di computo diverse, si doveva ritenere che il calcolo delle assenze dovesse essere effettuato contando 30 giorni per ogni mese, anche se le assenze ricadono in mesi dell’anno di differente durata. Di conseguenza, 18 mesi di comporto equivalgono sempre a 540 giorni.
A margine della questione principale, la Corte d’appello ha trovato poi il modo di aggiungere alcune puntualizzazioni di cui vale la pena far menzione.
Nella battaglia dei conteggi sul comporto, era emersa la questione di singole giornate rimaste scoperte tra una prognosi e l’altra: a parere dei giudici si tratta di giorni destinati a essere qualificati come assenze ingiustificate (e non conteggiati nel comporto). La corte respinge altresì il “doppio” conteggio di uno stesso giorno in prognosi successive, in cui il giorno di fine di una prognosi e l’inizio dell’altra si sovrappongono.
Infine, dal momento che la lettera di licenziamento aveva, ad abundantiam, invocato l’eccessiva morbilità della lavoratrice (1.839 giorni di assenza in circa 8 anni di lavoro, ma conteggiando tra le assenze anche le astensioni per maternità) e questa era stata riconosciuta dal tribunale, la corte chiarisce che la sommatoria tra malattia e maternità è da ritenersi inconcepibile.
Tutti gli operatori sanno quanto sia irto di incertezze il calcolo dei limiti del comporto: di sicuro i chiarimenti della Corte milanese saranno un aiuto prezioso per molti.
Il Sole 24 Ore – 23 maggio 2017