I timori sul passaggio al contributivo. «Assedio» a patronati e sportelli Inps per informazioni e piani d’uscita. Fuggire il prima possibile verso la pensione? La tentazione è forte. Tantissimi lavoratori stanno chiedendo informazioni e facendo i calcoli e molti hanno già scelto di scappare. Chiunque sia già in possesso dei requisiti per la pensione d’anzianità, la famosa quota 96 (60 anni d’età e 36 di contributi o 61 35) o stia per raggiungerli si sta domandando che fare. Cioè se continuare a lavorare fino a raggiungere 40 anni di contributi oppure i 65 anni d’età per la pensione di vecchiaia o se non gli convenga piuttosto lasciare il prima possibile.
Domande inevitabili ogni volta che si arriva alla vigilia di provvedimenti che cambiano le regole.
Questa volta, poi, i lavoratori non solo temono un aumento delle soglie di età per accedere alla pensione, ma anche di prendere un assegno più leggero del previsto, a causa della probabile estensione del metodo di calcolo contributivo pro rata a tutti. Nel pubblico impiego le pensioni liquidate sono in aumento da diversi mesi, per ragioni ancora precedenti all’ipotesi di nuove riforme. Il blocco degli stipendi, lo slittamento della buonuscita, il brusco incremento dell’età di vecchiaia per le donne hanno prodotto, nei primi 11 mesi dell’anno, un aumento del 7,3% delle pensioni di anzianità liquidate rispetto allo stesso periodo del 2010: da 54.610 a 58.624.
E di queste la gran parte sono andate a lavoratori con meno di 40 anni di contributi, che quindi hanno scelto di lasciare in anticipo il servizio. Nelle ultime settimane, conferma il presidente dell’Inpdap, Paolo Crescimbeni, «le voci sui nuovi provvedimenti allo studio del governo hanno certamente aumentato gli interrogativi tra i dipendenti pubblici». Luigina De Santis, del collegio di presidenza dell’Inca, il patronato della Cgil, racconta: «Negli ultimi giorni i nostri uffici sono stati invasi da lavoratori, sia pubblici sia privati, che hanno maturato i requisiti per la pensione d’anzianità e non sanno che fare. Persone che magari avevano pensato di restare ancora qualche anno in servizio, per raggiungere il massimo dei 4o anni, ma che ora vogliono presentare la domanda per mettersi al riparo dalle nuove misure che prevedibilmente scatteranno dal prossimo primo gennaio». I lavoratori sono spaventati dalla girandola di ipotesi, peraltro tutte da verificare: un possibile blocco dei pensionamenti d’anzianità; un aumento dei requisiti fino a quota loo; una stretta su chi ha 4o anni di contributi (aggiungendovi, per esempio, la richiesta di un’età minima, oggi non prevista).
Quanto alle ipotesi più probabili, temono che se verrà fissata una fascia d’età flessibile di pensionamento tra 62-63 anni e 68-7o anni a scelta del lavoratore, questo potrebbe voler dire stare come minimo un anno in più in servizio. C’è poi la questione dell’importo della pensione. Se arriva il contributivo pro rata, cioè sui contributi versati dal 2012 in poi, significa che restare più anni al lavoro frutterà meno rispetto al calcolo retributivo. Il problema riguarda i lavoratori più anziani, coloro che avevano più di 18 anni di contributi nel ’95. Costoro, secondo la riforma Dini, conservano appunto il più vantaggioso metodo retributivo. Se invece si passasse al contributivo pro rata per tutti, come vorrebbe il ministro del Lavoro Elsa Fornero, per loro scatterebbe uno svantaggio. Per esempio, un lavoratore che oggi ha 35 anni di servizio e una retribuzione di 30.000 euro l’anno e volesse arrivare fino a 40 anni di contributi, prenderebbe alla fine 1.794 euro al mese anziché 1.846 euro (calcolo retributivo), cioè 52 euro in meno al mese. Che si ridurrebbero a 32 euro in meno se questo stesso lavoratore avesse oggi 37 anni di servizio, perché in questo caso il contributivo agirebbe solo sugli ultimi tre anni di versamenti, e a 11 euro in meno se avesse 39 anni di servizio e quindi volesse restare solo un altro anno in più al lavoro. Infine, a creare ansia è anche l’ipotesi di penalizzazioni per chi volesse andare in pensione d’anzianità secondo le regole attuali (quota 96 e poi 97 dal 2013) o prima di un’età centrale, che potrebbe essere fissata per esempio a 65 anni. Penalizzazioni che consisterebbero in una riduzione del calcolo della pensione secondo criteri attuariali, per tener conto del fatto che l’assegno anticipato verrà pagato per più anni rispetto a una normale pensione di vecchiaia che si ottiene a 65 anni. In realtà, nessuno sa bene quali saranno le decisioni finali del governo.
Fornero sta studiando i vari dossier e poi metterà a punto le misure con il presidente del Consiglio, Mario Monti, per presentarle, forse la prossima settimana, alle parti sociali prima della loro approvazione. «Certo è che la gente è confusa», dice Paolo Citterio, presidente e fondatore dell’Associazione Direttori Risorse Umane Gidp/Hrda. «Comunque – aggiunge – i lavoratori prima di dare le dimissioni vogliono informarsi bene. Dal punto di vista delle aziende, invece, in molti casi l’uscita di qualche lavoratore non è un problema, soprattutto in un momento di crisi come questo. E soprattutto se vanno via dipendenti che costano molto. In questi casi, può essere conveniente per l’impresa far loro un contratto a progetto, magari come tutor del personale più giovane». Anche all’Inps confermano che presso gli sportelli territoriali è in aumento il flusso di lavoratori che chiedono informazioni e consigli sul da farsi. Ma per il momento questo non si è ancora tradotto in un boom di domande di pensione formalmente presentate. Anzi, i dati dei primi 10 mesi dell’anno, confrontati con lo stesso periodo del 201o, indicano un netto calo, per effetto delle «finestra mobile» (la pensione scatta 12-18 mesi dopo la maturazione dei requisiti) entrata in vigore il 1 gennaio scorso. Le domande per le pensioni di vecchiaia sono scese del 35% (da 155 mila a 100 mila) e quelle per l’anzianità del 19% (da 160 mila a 130 mila). Solo i dati di novembre e dicembre diranno se i timori e gli interrogativi di queste settimane si saranno trasformati nell’ennesima fuga verso la pensione.
Il «sistema contributivo», spiega l’Inps, si applica ai lavoratori privi di anzianità contributiva al primo gennaio 1996. E un sistema di calcolo che si basa su tutti i contributi versati durante l’intera vita assicurativa. Ai fini del calcolo occorre determinare il cosiddetto «montante individuale», che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del Pil (prodotto interno lordo) determinata dall’Istat. Al montante contributivo va applicato poi un coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell’età del lavoratore, al momento della pensione.
Corriere.it – 24 novembre 2011