Sono passati 10 anni dall’inchiesta sul Mose che scoperchiò un intero sistema di tangenti e Venezia vive una nuova bufera giudiziaria. Nella mattinata di ieri diciotto persone, tra cui l’assessore del Comune Renato Boraso, cui vengono contestati 11 gli episodi di corruzione, sono state poste in custodia cautelare in carcere, indagate nell’ambito di una indagine su appalti e pubblica amministrazione.
Anche il sindaco della città Luigi Brugnaro è destinatario di un avviso di garanzia. Nell’operazione sono stati impegnati 200 uomini della Guardia di Finanza e 2 milioni di euro sono stati sottoposti a sequestro preventivo. Nello specifico corruzione, riciclaggio e falsa fatturazione sono i reati contestati all’assessore alla Mobilità Boraso nell’ambito dell’indagine nata nel 2021 sulla scorta di un esposto relativo all’uso di alcuni terreni della periferia di Venezia. Secondo quanto riferito dal procuratore capo Bruno Cherchi, dopo la segnalazione le indagini sono scattate nel 2022, mentre l’attività delittuosa sarebbe proseguita «nonostante Boraso fosse venuto a conoscenza degli accertamenti in corso. Abbiamo iniziato con le intercettazioni – ha detto Cherchi – per poi passare ai riscontri documentali, infine abbiamo dato il via alle misure cautelari e alle perquisizioni in abitazioni e uffici perché eravamo a conoscenza, attraverso le intercettazioni, che Boraso stava distruggendo i documenti». Il capo della Procura lagunare ha poi specificato che Boraso «si era messo a disposizione con le sue svariate società per attività che nulla avevano a che fare con la pubblica amministrazione, facendosi pagare con fatture per prestazioni inesistenti in modo ripetuto; interveniva su appalti e servizi e modificando piani comunali a favore di diversi imprenditori, che poi lo pagavano». Il Gip di Venezia Alberto Scaramuzza, nell’ordinanza di custodia cautelare scrive che Boraso «ha sistematicamente mercificato la propria pubblica funzione, svendendola agli interessi privati». Una condotta, rileva ancora il Gip, che risulta ininterrotta negli ultimi quattro anni, indifferente a controlli e ostacoli, caratterizzata da “pericolosità sociale eccezionalmente elevata” e “intenso pericolo di reiterazione”. L’indagine, oltre all’assessore, ha portato alla custodia cautelare in carcere anche per l’imprenditore Fabrizio Ormenese. Al centro ci sono i rapporti dell’amministrazione comunale con l’imprenditore di Singapore Chiat Kwong Ching, all’epoca in cui Boraso era assessore al Patrimonio e una delle accuse è quella di aver svenduto palazzo Poerio Papadopoli all’imprenditore per 10 milioni, contro un valore stimato di 14. Secondo gli investigatori, per l’operazione l’assessore si sarebbe fatto pagare circa 73mila euro tramite false consulenze.
Sotto la lente degli inquirenti anche il promesso raddoppio dell’indice di edificabilità dell’area cosiddetta dei Pili e la promessa di adozione di provvedimenti edilizi e urbanistici per intervento edilizi che ne avrebbero elevato il valore: oltre al sindaco sono indagati anche il suo capo di gabinetto e direttore generale del Comune Morris Ceron e il vicecapo di gabinetto Derek Donadini, il direttore generale di Avm Actv Giovanni Seno (anche per lui era stato chiesto l’arresto, respinto dal Gip), e Luis Lotti, il manager italiano dell’imprenditore di Singapore coinvolto anche in questa operazione.
L’area conosciuta a Venezia come “I Pili” prende il nome dai due pilastri in pietra all’imbocco del ponte della Libertà che collega Mestre alla città storica: sulla destinazione del terreno, di cui il sindaco è proprietario, si sviluppa il ramo collaterale dell’indagine. Si tratta di una parte di terra ancora selvaggia, che si protende sulla laguna come un’oasi, a poca distanza da depositi petroliferi che in decenni l’hanno inquinata. Spazi sui quali si sono susseguiti progetti e appetiti anche immobiliari, sempre naufragati. Ora sotto la lente c’è la trattativa con l’imprenditore di Singapore per la vendita dei Pili a un prezzo di 150 milioni di euro e il ruolo del blind trust voluto dal sindaco Brugnaro, che si è detto esterrefatto e ha sottolineato di non aver «mai pensato, né messo in atto, alcuna azione amministrativa per un cambiamento delle cubature. Ovviamente, sono e resto a disposizione della magistratura». Allo studio anche le intercettazioni telefoniche: una in particolare, del 17 marzo del 2023 citata nell’ordinanza del Gip e definita dal giudice di «fondamentale importanza», in cui il sindaco farebbe riferimento a richieste di soldi a terzi da parte di Boraso e lo esorterebbe a fare attenzione.
Il Sole 24 Ore – Barbara Ganz