Francesco Rigatelli, Il Mattino di Padova. “Lo sa che non ci ho capito nulla?”. Andrea Crisanti, 66 anni, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Padova, mentre esce dall’ospedale alla fine di una lunga giornata nel Laboratorio di virologia che dirige, non afferra come il nuovo Dpcm si traduca in pratica: “La mia non è una posa, ma davvero faccio fatica a comprenderlo e ho una serie di interrogativi a riguardo. Spero che il governo nei prossimi giorni spieghi bene il provvedimento”.
Cosa non le risulta chiaro? “Intanto mi pare manchi un automatismo preciso per cui a una determinata regione vengano imposte le chiusure. Il punto di cui si parla da settimane è sempre quello. Ora ho letto che ci sarebbero 21 criteri per decidere se una regione appartenga alla zona verde, arancione o rossa. Mi sembrano tanti, ma immagino che quelli fondamentali riguardino il riempimento dei posti in ospedale. Non vorrei che un provvedimento simile inducesse le Regioni a non essere totalmente trasparenti riguardo a questi dati”.
Le pare un rischio reale in un momento simile? “Perché lei non ritiene che con questa politicizzazione e spettacolarizzazione di ogni cosa non ci sia la gara tra presidenti a chi è più bravo? Mi pare che la frizione col governo sia proprio su questo”.
Ma addirittura truccare i numeri? “Si tratta di dati facilmente manipolabili e a livello regionale per qualche settimana si potrebbe decidere di ricoverare il meno possibile sulla pelle dei pazienti”.
Le Regioni fanno lo scaricabarile sul governo o in questa situazione è giusto attendere decisioni nazionali? “Al di là del nostro sistema sanitario regionale, la stessa Costituzione dice che in casi straordinari come questo debba essere il governo a dare la linea, per cui trovo sensato che le Regioni attendano una decisione centrale”.
E trova giusta la prudenza del governo o si perde solo tempo? “Dipende da qual è il vero obiettivo dell’esecutivo. Potrebbe essere quello di arrivare entro pochi giorni a un lockdown per poi rimuovere le misure per Natale oppure di guadagnare tempo, rallentare il contagio, riorganizzare il sistema di tracciamento, fare il lockdown a gennaio e poi ripartire con un sistema rodato”.
Il lockdown ci sarebbe in entrambi i casi? “Temo di sì, però senza una strategia di tracciamento si rischia una terza ondata. I contagi non bisogna solo ridurli, ma poi anche tenerli bassi. Se il governo ha un piano a riguardo bene, altrimenti sta solo perdendo tempo”.
In questo senso il progetto delle tre fasce regionali pensa che potrebbe essere utile? “Sì, se fosse presentato in modo chiaro potrebbe aiutare sia a rallentare il contagio adesso sia a consolidare il risultato dopo il lockdown”.
Quando parla di strategia di tracciamento cosa intende? “Tutta l’organizzazione necessaria per prevenire e controllare la terza ondata, dopo che si è domata la seconda con delle chiusure. Più tamponi, tracciamento dei contatti e test rapidi come screening di comunità, dalle scuole alle aziende. Inoltre, una serie di misure mirate contro gli assembramenti, che sono quelli che riportano il contagio”.
E le misure attuali come le sembrano? “Certamente chiudere bar e ristoranti è stato giusto, e trovo sensato lasciarli aperti a pranzo un po’ per chi lavora e un po’ perché non generano tanto traffico. Il coprifuoco alle 21 mi pare inutile già che è tutto chiuso e sembra solo demagogia. Ha senso invece limitare gli orari dei negozi e dei centri commerciali, così come i mezzi pubblici. Anche se mi domando: chi controlla che viaggino pieni al 50 per cento? Il problema è sempre lo stesso: bisogna fare poche regole semplici, severe e che le forze dell’ordine siano in grado di mantenere”.
In questo periodo a cosa si sta dedicando? “Continuo i miei studi sul modello di Vo’ Euganeo, in particolare per capire se ci siano delle varianti genetiche che incidano sulla malattia che si sviluppa. Nel laboratorio che dirigo invece c’è meno lavoro perché la Regione Veneto sta sostituendo i tamponi molecolari con quelli antigenici. Una decisione sbagliata, a parer mio, perché i secondi vanno utilizzati soprattutto per prevenzione e sorveglianza e non per diagnosticare”.