Il Corriere della Sera. È possibile fare una mappa italiana della diffusione delle varianti? Non ancora ma presto lo sarà: è nato il «Consorzio italiano per la genotipizzazione e fenotipizzazione del SARS-CoV-2» coordinato dall’Istituto superiore di Sanità (ISS) con il patrocinio della Società italiana di Virologia. E allo stesso tempo, è stata diramata, da parte del Ministero della Salute, una nuova circolare che aggiorna sulla diffusione a livello globale delle nuove varianti e predispone le misure di controllo contro la loro diffusione in Italia.
Dati ufficiali e non
I dati ufficiali di GISAID, piattaforma internazionale accreditata per l’inserimento delle sequenze genomiche del coronavirus (parte del consorzio PREDEMICS finanziato dalla Commissione Europea), monitorano la presenza delle varianti in Italia. Quella inglese, B.1.1.7, sembra la mutazione più diffusa, con 143 casi (Piemonte 2, Veneto 5, Marche 3, Toscana 4, Abruzzo 93, Lazio 10, Campania 14, Puglia 12); la variante brasiliana conta 1 caso sequenziato in Friuli e quella sudafricana con 1 caso nel varesotto.
I dati però vengono comunicati in via volontaria al portale dai singoli laboratori, quindi il conteggio non è così preciso: mancano per la variante inglese 1 caso in Alto Adige e 18 casi lombardi, tra cui i 14 confermati del focolaio bresciano a Corzano, dove un abitante su dieci potrebbe essere stato contagiato (ma i sequenziamenti su 140 casi sono stati per ora “solo” 14, tutti positivi alla B.1.1.7). Sfuggono al conteggio anche altri 6 casi della variante brasiliana(1 in Lombardia, 3 in Abruzzo e 2 ancora “sospetti” in Umbria).
I sequenziamenti finora
Bisognerà aspettare il coordinamento del Consorzio, lanciato a fine gennaio, e i dati che saranno messi a disposizione dell’ISS in una mappa, per avere un quadro più completo anche perché questi numeri non dicono molto, visto che l’Italia ha iniziato solo da poco a implementare il sequenziamento (a campione o per tracciamento) del SARS-CoV-2. Fino al 13 gennaio aveva sequenziato lo 0,03% dei suoi tamponi, contro il 5% della Gran Bretagna e il 15% della Danimarca.
Nicola D’Alterio, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico di Teramo, centro di riferimento genomico in Italia dal 2007 che deposita su GISAID il 16% delle sequenze italiane osserva: «La Gran Bretagna ha investito 20 milioni di euro per creare il consorzio di mappatura delle varianti. Con una circolare del ministro Speranza i laboratori accreditati sono invitati a comunicare all’ISS e al ministero ogni variante individuata, ma un conto è avere un foglio excel, un conto una mappa costantemente aggiornata. È auspicabile che parta al più presto una piattaforma solo italiana».
Le linee guida in Italia
Il sequenziamento completo richiede circa sette giorni dopo il tampone PCR per il risultato. L’invito dell’ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) è di arrivare a sequenziare il 5% dei tamponi positivi, per questo, il ministero della Salute italiano ha invitato i laboratori di riferimento del Consorzio ad agire secondo alcune linee guida, tra cui: «Dare la priorità alla ricerca dei contatti di casi sospetti da variante e all’identificazione tempestiva sia dei contatti ad alto rischio (contatti stretti) che di quelli a basso rischio; dare priorità alla ricerca retrospettiva dei contatti, vale a dire oltre le 48 ore e fino a 14 giorni prima dell’insorgenza dei sintomi del caso». Riguardo alla mappa del genoma, la circolare ricorda l’indicazione dell’ECDC che raccomanda di sequenziare almeno 500 campioni selezionati casualmente ogni settimana a livello nazionale (rappresentativi della popolazione e individuati sulla base della catene di trasmissione): le priorità dovranno essere date a «individui vaccinati che successivamente si infettino nonostante una risposta immunitaria; contesti ad alto rischio, quali ospedali nei quali vengono ricoverati pazienti immunocompromessi positivi a SARS-CoV-2 per lunghi periodi; casi di reinfezione; individui in arrivo da paesi con alta incidenza di varianti SARS-CoV-2; aumento dei casi o cambiamento nella trasmissibilità e/o virulenza in un’area; analisi di cluster, per valutare la catena di trasmissione e/o l’efficacia di strategie di contenimento dell’infezione».
La reale diffusione delle varianti
È un lavoro solo agli inizi che per ora non riesce a far capire quanto le varianti siano diffuse. Le stesse varianti prendono il nome geografico del Paese in cui sono state individuate la prima volta, ma non è detto siano originarie di quel luogo. Non a caso la Gran Bretagna è uno dei Paesi al mondo che fa più sequenze e ha trovato la variante cosiddetta «inglese». A livello empirico possiamo dire che la variante inglese potrebbe (anche per vicinanza geografica) essere la più presente nel nostro Paese e possiamo nutrire una certa speranza che ancora non lo sia in modo massiccio. Quando «attecchisce», la B.1.1.7 non passa inosservata, come successo in UK, Irlanda, Danimarca, Portogallo e ultimamente in Francia, dove si calcola che abbia una crescita del 60 per cento a settimana. La sua capacità di trasmissione è così marcata (si pensa almeno il 50% in più del virus originario) che, dove crea un focolaio, i contagi salgono in maniera evidente, come successo nel paesino di Corzano (140 positivi su 1400 abitanti con 14 casi di variante inglese) o a Guardiagrele (provincia di Chieti), con 113 positivi su 8.000 abitanti e 36 casi di variante B.1.1.7 confermati ad oggi.
Per difendersi non resta che aderire in maniera precisa alle misure di distanziamento e di protezione cui siamo abituati, dato che, insieme ai lockdown e alle prime vaccinazioni, hanno dimostrato di essere efficaci anche contro le varianti.