DA REPUBBLICA. L’Europa va verso l’imposizione di controlli sanitari alle frontiere interne nel tentativo di bloccare la diffusione delle nuove e più contagiose varianti del Covid. La situazione è «seria», spiegano autorevoli fonti europee a Bruxelles. Per questo nel pomeriggio all’ennesimo videosummit dei capi di Stato e di governo dedicato al virus, Angela Merkel e Emmanuel Macron proporranno nuove misure per bloccare la circolazione delle mutazioni del coronavirus. Un drammatico tentativo di evitare una nuova impennata dei contagi dovuti alla variante inglese che potrebbero rallentare le campagne vaccinali e di tenere fuori dal Continente i ceppi brasiliano e sudafricano che, a differenza di quello britannico, non è ancora chiaro se siano in grado di aggirare il vaccino. Ieri l’Oms ha reso noto che la variante inglese è già presente in 60 paesi e territori del mondo, mentre quella sudafricana in 23.
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha ammonito che anche i prossimi mesi saranno «duri » e costellati da «nuovi lockdown ». In vista del summit di oggi, Berlino ha fatto circolare un paper nel quale chiede misure Ue aggiuntive, ovvero controlli sanitari mirati alle frontiere interne per i viaggi dai paesi nei quali vengono individuati focolai della mutazione inglese (come l’Irlanda). Sulla stessa linea la proposta della Francia, propensa a istituire controlli in tutti i paesi europei a prescindere dalla diffusione della variante. Con ogni probabilità, dunque, su spinta di Merkel e Macron i leader daranno mandato alla Commissione di studiare un meccanismo da applicare quanto prima all’interno di Schengen.
Preoccupano tanto, se non di più, le varianti di Brasile e Sudafrica, altro tema che sarà discusso dai primi ministri. Le frontiere esterne dell’Unione sono chiuse da marzo, ma gli aerei continuano ad atterrare per chi ha diritto a entrare nel continente: i leader potrebbero evocare l’idea di bloccare i voli dalle aree in cui dilagano le mutazioni che potrebbero mettere a rischio il vaccino (per ritararlo ci vorrebbe qualche mese, afferma l’Ema, Agenzia europea per i medicinali). I governanti dell’Unione spingeranno anche per aumentare la capacità di sequenziamento del genoma del virus proprio contro le varianti e discuteranno l’idea di creare un certificato vaccinale che tra diversi mesi, ma arrivarci sarà difficile, potrebbe garantire di saltare controlli e limitazioni agli spostamenti a chi sarà immunizzato.
Intanto ai settanta casi di variante inglese trovati in Italia dal 20 dicembre, ieri se ne sono aggiunti altri cinque, rilevati dall’Istituto zooprofilattico delle Venezie. Secondo uno studio di Oms, università di Cambridge, Hong Kong e Texas, «il nuovo ceppo si sta già diffondendo da mesi in silenzio in molti paesi», soprattutto in quelli che hanno una capacità di monitoraggio limitata (come l’Italia). L’aumento di contagiosità della variante inglese è del 50% e «l’Italia ha la prevalenza stimata di casi più alta» fra i 19 paesi presi in esame, dagli Stati Uniti all’Asia. L’analisi, pubblicata su MedRxiv , si basa sui contatti con la Gran Bretagna e sul livello di circolazione locale del virus.
Al di là delle stime, la situazione reale da noi resta oscura. «La ricerca delle varianti in Italia è meno intensa che altrove, per usare un eufemismo » lamenta Stefania Salmaso, dell’Associazione italiana di epidemiologia. L’emergere di altri ceppi più contagiosi da noi in tempi recenti fa pensare a Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, «che probabilmente la variante inglese nel nostro Paese sia già in circolazione, affiancata da altre varianti nostrane». E che «la sorveglianza genetica resta la strada migliore» per evitare situazioni esplosive come quella inglese.
La variante inglese diventerà prevalente negli Usa a marzo, secondo i Centers for Disease Control. Anche in Francia, stima l’istituto Inserm, il virus più contagioso avrà spazzato via gli altri a fine febbraio. Il tempo per prendere le contromisure ormai non è più molto.