Con un articolo pubblicato sulla rivista 30giorni di marzo l’Enpav ribadisce che le amministrazioni delle aziende socio sanitarie sono obbligate a continuare ad applicare e riscuotere il contributo integrativo del 2%. Una segnalazione del referente Enpav per il SIVeMP Veneto Franco Cicco. «La maggiorazione del 2% sulle prestazioni rese ai privati dai veterinari delle Amministrazioni pubbliche deve continuare ad essere versata. A più di due anni dalle sentenze della Cassazione, il famigerato articolo 12 conserva la sua ratio di equità e solidarietà. L’Enpav continua a ricevere richieste di chiarimento da parte di Amministrazioni che chiedono se riscuotere il 2% sulle prestazioni veterinarie rese a privati dai veterinari operanti presso le Amministrazioni medesime.
A poco più di due anni dalle sentenze pronunciate dalla Cassazione nelle cause intentate dall’Enpav avverso le Aziende sanitarie locali della Regione Emilia Romagna e l’Izsler, è bene ribadire che la decisione della Corte fa stato esclusivamente tra le parti coinvolte nelle cause. Resta fermo pertanto per tutte le altre Amministrazioni l’obbligo di applicare il 2% Enpav sui corrispettivi per l’attività professionale e di certificazione resa dai veterinari a qualunque titolo operanti nel proprio ambito. L’art. 12 della legge n. 136/1991 dispone, infatti, che su tutti i corrispettivi dovuti per le prestazioni svolte dai veterinari iscritti agli Albi professionali, debba essere applicata una maggiorazione del 2% che grava sul richiedente la prestazione. La norma non ha mai presentato problemi interpretativi in merito alla contribuzione posta a carico dei veterinari liberi professionisti, mentre sin dal 1992, anno dell’entrata in vigore del 2%, non sempre è stato chiaro l’obbligo del versamento all’Enpav del contributo integrativo, quando la prestazione sia resa da un veterinario che eserciti l’attività professionale in qualità di lavoratore dipendente, o collaboratore o ad altro titolo presso un’associazione, ente o altra Amministrazione.
L’AMMINISTRAZIONE FA DA TRAMITE
I privati cittadini, per le prestazioni e certificazioni veterinarie di loro interesse, possono rivolgersi ai veterinari liberi professionisti o a veterinari operanti presso amministrazioni o ambulatori privati, ma possono sono anche, ed in alcuni casi devono, rivolgersi ad amministrazioni pubbliche, quali Aziende Sanitarie, Facoltà di Medicina Veterinaria, Istituti Zooprofilattici Sperimentali.
Ebbene, l’art. 12 della legge 136 individua la categoria dei soggetti obbligati al versamento del 2% non solo nei liberi professionisti iscritti agli Albi, ma anche nelle associazioni, enti o altri soggetti per i corrispettivi incassati in relazione ai servizi prestati a terzi attraverso i propri veterinari.
Mentre il veterinario che svolge attività libero professionale incassa direttamente dal cliente, oltre al compenso per la prestazione resa, anche la maggiorazione del 2% che è tenuto poi a versare all’Enpav, il veterinario dipendente rimane estraneo a qualunque incasso quando il privato chiede determinate prestazioni professionali rivolgendosi all’Amministrazione datrice di lavoro.
In tutti questi casi, il fruitore della prestazione deve comunque versare sia il compenso che la maggiorazione del 2% spettante all’Enpav. Solo che l’uno e l’altra vengono corrisposti non al veterinario che ha effettuato la prestazione, bensì all’Amministrazione. Questa riscuote sia il corrispettivo dell’attività resa dal veterinario a favore del richiedente la prestazione, sia la relativa maggiorazione che dovrà poi versare all’Enpav. Il presupposto per l’esigibilità del contributo integrativo è costituito dal corrispettivo che il cliente paga per la prestazione veterinaria, sicché in presenza del pagamento del corrispettivo scatta l’obbligo per il soggetto che lo percepisce, di applicare anche il 2%. Pertanto, nell’ipotesi in cui il corrispettivo sia riscosso all’Amministrazione, è questa che deve provvedere ad incassare la maggiorazione del 2% Enpav. L’Amministrazione svolge esclusivamente la funzione di tramite nella riscossione di somme che vengono poi riversate all’Enpav. Nessun onere economico sussiste in capo alle Amministrazioni che sono piuttosto investite del ruolo di sostituti nella esazione di contributi attinenti ad una gestione di previdenza obbligatoria. L’onere del 2% grava infatti sul fruitore della prestazione, mentre la riscossione ed il versamento all’Enpav possono far capo o al veterinario libero professionista o al soggetto datore di lavoro. D’altra parte la prestazione del veterinario libero professionista è identica a quella del veterinario dipendente, rilevando infatti la subordinazione solo sul piano meramente funzionale delle modalità attraverso le quali l’attività professionale viene esercitata.
LUNGO TEVERE È CON ENPAV
Si deve ammettere peraltro che la poca chiarezza della formulazione normativa ha dato luogo nel tempo ad incertezze interpretative. L’orientamento iniziale della maggior parte delle Amministrazioni, infatti, è stato di non considerarsi obbligate all’applicazione e riscossione del contributo integrativo del 2%, ritenendo piuttosto quest’ultimo un obbligo contributivo del veterinario che esercita la libera professione. L’Enpav ha quindi avviato un lungo percorso teso a garantire la corretta applicazione del contributo da parte di tutti i soggetti obbligati, sensibilizzando sull’argomento anche l’attenzione dell’allora Ministro della Sanità che è intervenuto, con la circolare del 9 novembre 1999. Tale circolare ha espressamente affermato l’obbligo per tutte le Amministrazioni, pubbliche e private, che svolgono attività professionale e di certificazione attraverso veterinari dalle stesse dipendenti o legati da vincolo diverso dalla subordinazione, di applicare la maggiorazione del 2% sul corrispettivo dovuto dal richiedente la prestazione, provvedendo alla riscossione direttamente da quest’ultimo ed al versamento del relativo ammontare all’Enpav. Dinnanzi alla resistenza di talune Amministrazioni, l’Enpav ha avviato un contenzioso per vedere accertato l’obbligo di applicare la maggiorazione del 2%.
Nel tempo si è consolidato un orientamento giurisprudenziale favorevole per il nostro Ente di previdenza e si è affermata un’applicazione pressoché generalizzata del contributo integrativo. Ciò fino alle sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione nel gennaio 2009. La Suprema Corte ha interpretato l’art. 12 della legge n. 136/1991 nel senso che “la maggiorazione del 2% sia dovuta soltanto sui corrispettivi percepiti dai veterinari nell’esercizio di attività professionale in regime di autonomia, ivi compresa quella intra ed extra moenia espletata dai veterinari dipendenti, e non già anche sui corrispettivi tariffari dovuti direttamente agli enti pubblici per l’erogazione di prestazioni istituzionali rese attraverso l’impiego di veterinari dipendenti”.
DISPARITÀ DI TRATTAMENTO
Stando all’interpretazione sostenuta dalla Cassazione, rispetto all’obbligo contributivo del 2%, una medesima Categoria, quella appunto dei veterinari iscritti agli Albi professionali, sarebbe assoggettata ad una differente disciplina: da un lato i liberi professionisti che applicano la maggiorazione e ne riscuotono l’ammontare dal cliente; dall’altro i veterinari che esercitano la professione in regime di rapporto di lavoro dipendente da un’Amministrazione, pubblica o privata, per le prestazioni dei quali l’Amministrazione datrice di lavoro non applica il 2%. Con la conseguente disparità di trattamento che ne deriverebbe sia dal punto di vista del veterinario che eroga la prestazione, sia da quello dell’utente finale che si vedrebbe richiedere, oltre al corrispettivo anche la maggiorazione, nel caso in cui si rivolga ad un libero professionista, mentre nell’ipotesi in cui ricorra ad un veterinario operante ad esempio nel servizio veterinario di una Asl, dovrebbe corrispondere esclusivamente il compenso richiesto per la prestazione senza alcuna maggiorazione.
Tale interpretazione si pone in contrasto con i principi comunitari in materia di concorrenza, determinando un’evidente posizione di favore nei confronti del regime pubblico di prestazione dei servizi, il quale risulterebbe avvantaggiato dall’esonero dei costi economici connessi all’adempimento dell’obbligazione contributiva in esame. Come detto, la disparità riguarderebbe non solo l’utente finale, ma anche il veterinario dipendente che, venendo meno l’applicazione del 2% sulle sue prestazioni, non potrebbe più usufruire della ripetibilità del contributo integrativo, che quindi rimarrebbe un vero e proprio costo a carico del professionista.
UN IMPEGNO DALLE ISTITUZIONI
Fatte tutte queste doverose considerazioni, l’impegno che l’Enpav sta portando avanti, oltre a quello non facile della riforma della norma, è quello di arrivare ad una soluzione della questione condivisa con il Ministero della Salute ed il Ministero del Lavoro. In attesa dunque delle auspicate direttive ministeriali, l’invito che l’Enpav rivolge a tutte le Amministrazioni è quello di continuare ad applicare e riscuotere la maggiorazione del 2% sulle prestazioni rese ai privati dai veterinari a qualunque titolo operanti nel proprio ambito, fermi restando tutti i principi contenuti nella circolare del Ministro della Sanità del 9 novembre 1999. ?
Eleonora De Santis – dirigente Studi Enpav
30giorni – marzo 2011