L’ordinanza della Cassazione depositata il 5 febbraio è solo l’ultima di una serie che inizia a essere corposa di provvedimenti con cui i giudici bocciano l’applicazione del contributo di solidarietà da parte della casse di previdenza dei professionisti. Nonostante ciò, però, gli enti di previdenza non mollano la presa e più di uno conferma tale prelievo oppure ricorre ad altre soluzioni per far quadrare i conti e per introdurre una forma di riequilibrio tra gli assegni pensionistici. Preso atto di quanto stabilito dall’ordinanza 2749/13 che ha riconosciuto il diritto di un professionista a riavere quanto trattenuto dalla Cassa dei commercialisti nel periodo 2004-2008, il presidente della Cnpdac, Renzo Guffanti, ha ribadito che l’ente da lui presieduto ha comunque confermato il contributo per il periodo 2009-2013.
Questo dopo aver sottolineato di aver già restituito quanto dovuto a tutti gli interessati per il periodo 2004-08. Secondo quanto indicato dall’articolo 22 del regolamento di disciplina del regime previdenziale, il contributo può arrivare fino al 7% in base allo scaglione di quota pensione dell’iscritto. Anche la Cassa ragionieri, altro soggetto più volte incappato nel giudizio della Cassazione, ha previsto di reintrodurre nel progetto di riforma un contributo di solidarietà per il triennio 2014-2016 per garantire equilibrio finanziario ed equità tra le generazioni. In questo caso la riduzione dell’assegno arriva fino a un massimo del 5% in base all’ammontare della pensione. Altri enti, invece, per far quadrare i conti hanno adottato provvedimenti diversi e meno a rischio, come il blocco temporaneo della rivalutazione delle pensioni con le eccezioni degli importi inferiori, una scelta che rispecchia quanto avviene anche per la previdenza generale. Le decisioni della Cassazione, come dicevamo, sono più di una su questo aspetto.
Nei confronti della Cassa di previdenza dei commercialisti ci sono le pronunce 25029 , 25030 , 25301 , 25211 , 25212 nel 2009, la 10280 nel 2012 e la 2749 nel 2013. Per quanto rigaurda i ragionieri, invece, la Cassazione si è espressa a favore nel 2007 (14701) e a sfavore nel 2009 con la sentenza 25300.
Il nodo è nell’interpretazione dell’applicazione del meccanismo del pro rata. Le bocciature incassate in passato erano motivate dal fatto che le Casse non potevano modificare il trattamento maturato dagli iscritti e che le eventuali riforme non possono riguardare le situazioni preesistenti ma eventualmente possono incidere solo sul futuro. Altro aspetto dibattuto è quello relativo all’efficacia del comma 763 della legge 296/96 (legge Finanziaria 2007) che ha richiesto la sostenibilità dei bilanci a trent’anni ma al contempo ha consentito di adottare i provvedimenti necessari “avendo presente” il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate e non l’applicazione tassativa dello stesso “e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni”. Un’apertura che secondo i vertici delle Casse consente maggiori margini di manovra, ma nonostante ciò i ricorsi degli iscritti non si fermano.
14 febbraio 2013