Sarà comunque utile verificare se tale modesto aumento possa essere stato anche incrementato da interventi su specifiche voci stipendiali e posizioni giuridiche. E se questa prospettiva riguarda essenzialmente il personale in servizio od anche coloro che vorranno intraprendere la carriera di dipendenti delle Asl. Inoltre gli incrementi stipendiali, risultanti da questa contrattazione, riguarderanno anche coloro che sono andati in pensione nell’arco del triennio 19/21.
Infatti il contratto precedente prevedeva, all’articolo 87, non abrogato, che i benefici economici siano corrisposti integralmente alle scadenze e negli importi previsti al personale dirigente, comunque, cessato dal servizio, con diritto a pensione, nel periodo di vigenza del contratto e abbiano, di conseguenza, effetto sul trattamento di quiescenza ordinario, privilegiato, diretto e indiretto.
In parole semplici, chi si è pensionato dal 1° gennaio 2019, grazie al rinnovo del contratto, avrà, oltre al recupero su gli stipendi eventualmente maturati da quella data sino al momento del pensionamento, anche un aumento della pensione in quanto viene aggiornata la base pensionabile sulla quale si calcola il trattamento per i periodi con il calcolo retributivo ( ante 2012 ) ed incrementato il montante ( cioè la somma dei contributi versati ) per il calcolo del trattamento pensionistico con il sistema contributivo. Oltre all’aumento della pensione, l’incremento dello stipendio dei dipendenti pubblici determina anche l’aumento della buonuscita e del trattamento di fine servizio, in quanto il suo ammontare è calcolato sulla base dell’ultime retribuzioni.
Tuttavia l’articolo 63 comma 2 del contratto sottoscritto questi giorni, precisa che :
“ I benefici economici risultanti dalla applicazione dell’art. 61 ( Incrementi dello stipendio tabellare ) e dell’art. 62 (Trattamento economico dei dirigenti con rapporto di lavoro ad esaurimento) sono corrisposti integralmente alle scadenze e negli importi previsti, al personale dirigente comunque cessato dal servizio, con diritto a pensione, nel periodo di vigenza del presente contratto ”. Le scadenze e gli importi degli stipendi tabellari sono determinati nei seguenti importi mensili lordi da corrispondersi per 13 mensilità: a) Dirigenti Medici: – dal 1° gennaio 2019 di € 47,00; – rideterminato dal 1° gennaio 2020 in € 74,00; – rideterminato dal 1° gennaio 2021 in € 77,00. b ) Dirigenti Veterinari: – dal 1° gennaio 2019 di € 60,00; – rideterminato dal 1° gennaio 2020 in € 94,00; – rideterminato dal 1° gennaio 2021 in € 98,00.
Da questa determinazione scaturisce che lo stipendio per chi fosse andato in pensione negli anni 2019 e 20 aumenterà solamente di una parte degli incrementi contrattuali previsti dall’accordo con un’evidente perdita soprattutto per la quota retributiva che fa, appunto, riferimento allo stipendio maturato al momento del pensionamento, ma anche per la quota contributiva. Uguale danno anche per l’indennità premio di servizio e sul trattamento di fine rapporto.
Stessa sorte non dovrebbe ricadere per quanto attiene l’indennità di esclusività e dell’indennità medico veterinaria. Mentre la così detta “ una tantum ” sarà concessa in un’unica soluzione solamente al personale in servizio e retribuito alla data del 31 dicembre 2021 e non a coloro che fossero andati in pensione prima di quella data.
In pratica parrebbe di capire che questa indennità riguarda il 2022 che è, però, fuori, temporalmente, dalla portata contrattuale odierna anche se inclusa nello stesso contratto. Attenzione, poi dovrà essere posta riguardo la retribuzione di posizione sia della parte fissa che variabile. A riguardo, pensiamo, si dovranno attendere le eventuali circolari Inps chiarificatrici, così come è avvenuto in passato.
Infatti, ricordiamo che fino al 31/12/1995 la contribuzione veniva versata unicamente sulle componenti fisse e continuative della retribuzione. Con la legge n. 335/95 di riforma del sistema previdenziale obbligatorio e della previdenza complementare, è stato prevista dal – 01/01/1996 – l’applicazione ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni dei principi regolanti le somme soggette a contribuzione già vigenti per i lavoratori dipendenti nel settore privato. E cioè il criterio di dichiarare, ai fini imponibili, ” retribuzione ” tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro, con conseguente assoggettamento a contribuzione anche delle voci del trattamento economico accessorio, cioè quelle voci che per modalità di erogazione o non sono fisse, o non sono ricorrenti ( ad esempio: produttività, incentivi, straordinario, turno, reperibilità, disagio, rischio, indennità per specifiche responsabilità ).
La retribuzione imponibile ai fini del versamento della contribuzione previdenziale è quindi costituita da tutte le somme e i valori in genere in relazione al rapporto di lavoro. La retribuzione utilizzata per il versamento dei contributi costituisce anche la retribuzione presa a base per il calcolo della pensione. Il decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314 ha infatti, successivamente, stabilito il principio dell’unificazione delle basi imponibili ( fiscale e previdenziale) per il trattamento pensionistico delle attività di lavoro dipendente. Questo principio generale deve essere integrato con le disposizioni specifiche vigenti in materia previdenziale, in relazione alle diverse fattispecie.
Dal 1° gennaio 1998, sono utili alla pensione gli emolumenti attualmente indicati agli articoli 49 e 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi ( TUIR ), approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni e integrazioni. In linea generale, è imponibile , quindi, ai fini contributivi, tutto ciò che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, indipendentemente dall’effettiva prestazione di lavoro e che costituisce reddito da lavoro dipendente nei limiti del massimale contributivo eventualmente applicabile al lavoratore.
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