Possibile la revisione della gamma dei contratti con l’abrogazione del lavoro a chiamata (jobs on call) e del lavoro ripartito (job sharing). Tre ipotesi per applicare il contratto di inserimento a tutele crescenti che sterilizza per i primi tre anni l’articolo 18. Utilizzarlo per la sola prima assunzione e per i disoccupati di lunga durata, oppure per i giovani fino a 35 anni, in alternativa estenderlo a tutti i nuovi contratti indipendentemente dal numero di rapporti di lavoro precedenti e a prescindere dall’età del lavoratore.
I tecnici incaricati dal premier in pectore Matteo Renzi, nella bozza di Jobs act, stanno vagliando ancora le tre ipotesi per valutare le conseguenze sulle altre forme di flessibilità. Se si dovesse optare per un contratto di inserimento in forma “soft”, ovvero limitato alla prima assunzione e a quelle dei disoccupati da oltre 12 mesi, potrebbe scattare un’ulteriore semplificazione del contratto a termine, estendendo fino alla durata massima di 36 mesi la possibiltà per l’imprenditore di ricorrere a questo strumento senza indicare le ragioni dell’apposizione di un termine (la cosiddetta acausalità). Qualora, invece, si optasse per un intervento generalizzato, ovvero per un contratto a tutele crescenti sempre applicabile, il contratto a termine non sarebbe toccato limitandone l’utilizzo alle ipotesi tassativamente indicate dalla legge, ovvero alla sostituzione per malattia, o maternità, ai picchi di lavoro stagionale. In ogni caso, un’eventuale modifica dei contratti a termine – fanno sapere fonti della segreteria del Pd – dovrebbe essere oggetto di un confronto con le parti sociali. Tra le ipotesi c’è anche quella di intervenire sul cosiddetto contingentamento, cioè la percentuale di assunzioni dei lavoratori a termine rispetto alla quota di lavoratori assunti a tempo indeterminato, ponendo un limite per legge (oggi il tetto è affidato ai contratti).
Uno degli obiettivi del Jobs act è quello di favorire le nuove assunzioni standard semplificando gli istituti contrattuali, dopo l’irrigidimento operato dalla legge Fornero. Del resto gli ultimi dati del ministero del Lavoro evidenziano come durante l’ultimo anno di crisi siano cresciuti i soli contratti a termine acausali, mentre per tutte e altre tipologie si registrano variazioni negative.
L’introduzione di un nuovo contratto di inserimento potrebbe portare all’abrogazione del lavoro a chiamata (job on call) e del lavoro ripartito (job sharing) o al loro accorpamento con i voucher – innalzando il valore del buono lavoro da 5mila a 8/10mila euro – per creare un nuovo istituto sul modello dei mini Jobs tedeschi. Le collaborazioni a progetto potrebbero scomparire (visto l’alto numero di contenzioso che generano) con il ripristino delle collaborazioni coordinate e continuative “genuine”. La presunzione di subordinazione per le partite Iva, invece, resterebbe confermata nei casi di monocommittenza e reddito basso. Ovviamente resta da capire come il testo del Jobs act, una volta perfezionato, uscirà dal confronto con i possibili alleati di governo, tenendo conto che proposte analoghe sul lavoro sono state già presentate dal Nuovo centrodestra e da Scelta civica.
Il Sole 24 Ore – 19 febbraio 2014