La bozza di contratto collettivo degli statali presentata la settimana scorsa dall’Aran ai sindacati propone una serie di regole che si ripeteranno anche negli altri comparti pubblici. Sui permessi, si riscrive la disciplina introducendo importanti novità. Sono confermati i permessi retribuiti, fruibili solamente a giorni, per concorsi ed esami, per lutto (estendendolo, in questa ipotesi, anche al convivente in ossequio alle norme sulle unioni civile e sul patto di convivenza) e per matrimonio. La durata del permesso è rimasta invariata rispetto al passato, per ciascuna tipologia di motivazione.
Salta la regola che impone di documentare i motivi dell’assenza
In applicazione dell’articolo 71, comma 4, del Dl 112/2008, i permessi retribuiti per particolari motivi personali o familiari possono essere concessi solo a ore, per un massimo di 18 all’anno. Viene quindi esclusa l’assenza a questo titolo computata a giorni.
Al dipendente che intende non presentarsi in ufficio ricorrendo a questo istituto per un’intera giornata saranno decurtate tante ore quante sarebbe stata la durata la sua prestazione lavorativa. A questo vincolo si pone, in contraddizione, un’ulteriore previsione: nel caso di fruizione frazionata, il permesso non può superare la metà dell’orario di lavoro giornaliero. Come può non superare la metà dell’orario e, nel contempo, riguardare l’intera giornata? La fissazione dell’unità di misura a ore comporta anche che l’abbandono del posto di lavoro non possa avvenire per frazioni di ora.
Sempre rispetto al passato, il contratto nazionale omette un piccolo particolare: nel nuovo testo della disposizione le «particolari esigenze personali o familiari» non devono più essere debitamente documentate. In sostanza, quindi, il dipendente presenta domanda, il dirigente valuta se l’assenza è compatibile con le esigenze di servizio (valutazione, questa, non prevista nel vecchio testo contrattuale, ma sicuramente effettuata nel concreto) e autorizza l’assenza.
Un permesso tutto nuovo interessa le visite, le terapie, le prestazioni specialistiche e gli esami diagnostici. Come si ricorderà, in passato queste fattispecie sono state oggetto di forti discussioni. Il tutto nasce dalla legge 125/2013, che modificando l’articolo 55-septies del Dlgs 165/2001, affermava che il permesso per queste tipologie di assenze poteva essere giustificato da un’attestazione rilasciata anche da un medico o da una struttura privata. Da questo, le organizzazioni sindacali avevano tratto la conclusione che fosse stato inserita nel panorama legislativo una nuova fattispecie di assenza. A questa posizione aveva risposto il dipartimento della Funzione Pubblica, che con la circolare 2/2014 aveva ribadito che nessuna nuova ipotesi di permesso era stata introdotta, e che le assenze per visite ed esami andavano giustificate con uno degli istituti previsti dai contratti nazionali allora vigenti.
Oggi si pone fine alla diatriba, riconoscendo al dipendente un massimo di 18 ore annuali, che comprendono non solo il tempo strettamente necessario per la visita o la terapia, ma anche la durata del viaggio per raggiungere il medico o la struttura che effettua la prestazione.
Per quanto riguarda la natura e il trattamento economico, il permesso deve considerarsi come un’assenza per malattia. Per il calcolo del periodo di comporto, convenzionalmente, quando la durata dell’assenza raggiunge cumulativamente le sei ore fa scattare, nel computo, la giornata.
Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan – Il Sole 24 Ore – 11 dicembre 2017