Sono gli ultimi statali ad essere rimasti senza gli aumenti contrattuali. Per medici, presidi e dirigenti pubblici, quasi 160 mila persone, il rinnovo del contratto di lavoro non è ancora alle viste. All’Aran, l’agenzia che tratta a nome del governo con i sindacati, le vere trattative non sono ancora partite. Anzi. Uno dei tavoli, il più delicato, quello dei medici, è saltato quasi subito. I sindacati: noi penalizzati, aumenti calcolati solo su parte dello stipendio
IL CASO Sono gli ultimi statali ad essere rimasti senza gli aumenti contrattuali. Per medici, presidi e dirigenti pubblici, quasi 160 mila persone, il rinnovo del contratto di lavoro non è ancora alle viste. All’Aran, l’agenzia che tratta a nome del governo con i sindacati, le vere trattative non sono ancora partite. Anzi. Uno dei tavoli, il più delicato, quello dei medici, è saltato quasi subito. «Il motivo», spiega Costantino Troise, segretario nazionale Anaao-Assomed, «è che il livello delle risorse stanziate dal governo è assolutamente insufficiente a recuperare otto anni di blocco». Qual è il punto lamentato dai medici? Tutti gli statali hanno avuto un aumento del 3,48%. Formalmente anche ai 110 mila medici è stato assicurato lo stesso trattamento. Solo che la percentuale non si applica su tutta la retribuzione, ma dal calcolo viene tenuta fuori l’indennità di esclusività del rapporto. Una voce che ricompensa i dottori della rinuncia a praticare la libera professione. «Tenendola fuori dal calcolo il vero aumento», spiega Troise, «sarebbe per i medici inferiore al 3%, meno di quanto dato a tutti gli altri dipendenti della pubblica amministrazione». Su questo punto il tavolo politico con l’Aran si è rotto, anche se il confronto prosegue in sede tecnica.
GLI ATTI DI INDIRIZZO Anche il tavolo dei dirigenti delle amministrazioni centrali langue. A febbraio il governo ha dato il suo atto di indirizzo all’Aran, garantendo un aumento del 3,48%. In media fanno 120 euro in più in busta paga. Solo che da allora non ci sono più stati incontri. «L’Aran», dice Barbara Casagrande segretario generale dell’Unadis, «ci ha assicurato che il confronto ripartirà dopo Pasqua». Il dubbio è che, mentre i contratti del personale non dirigente sono stati tutti approvati prima delle elezioni, i dirigenti sono rimasti in mezzo al guado. La domanda, insomma, è se un nuovo governo possa cambiare gli indirizzi. «Non credo», prosegue Casagrande, «le risorse sono già stanziate e certificate dalla Ragioneria». Probabile che sia cosi. Anche se qualche giorno fa, l’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, citatissimo sia dal Movimento Cinque Stelle che dal centrodestra, in un’intervista a Radio Radicale ha fatto una sorta di elenco di voci sulle quali potrebbe essere utile calare le forbici per evitare il prossimo aumento dell’Iva, e tra queste ha citato anche le retribuzioni dei dirigenti della pubblica amministrazione. Ai tempi in cui si occupava per il governo Letta di tagliare gli sprechi, Cottarelli aveva indicato in 500 milioni di euro i possibili tagli alle retribuzioni dei dirigenti pubblici, armonizzando i loro stipendi a quelli medi degli atri Paesi. Ma per ora quella dell’ex commissario è solo un’opinione come le altre. Intanto, però, per completare il quadro dei tavoli del rinnovo dei contratti della dirigenza, mancano ancora due atti di indirizzo del governo: quello della scuola, che riguarda i presidi, e quello degli enti locali per i loro manager.
Andrea Bassi – Il Messaggero – 26 marzo 2018