di Gianni Trovati. Sarà la volta buona? Dovrebbe, ma non sarà semplice. L’atteso incontro fra sindacati e Aran per l’intesa sulla riduzione a quattro dei comparti pubblici è in programma per oggi, e dovrebbe appunto portare all’accordo anche se nel mondo sindacale le tensioni continuano e spiegano lo slittamento fino a oggi della riunione attesa da settimane: pesano, in particolare, i problemi degli accorpamenti, anche delle articolazioni interne alla stessa sigla sindacale, nel nuovo comparto della «conoscenza», che dovrebbe unire scuola, università, ricerca e alta formazione artistica e musicale, e in quello dei «poteri statali», dove finiranno ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici e le altre articolazioni della Pa statale non destinate agli altri tre comparti.
La soluzione-ponte
L’architettura dei comparti, del resto, è definita da tempo, dopo una lunghissima trattativa che ha portato i lavori all’articolazione della Pa in sanità, regioni ed enti locali, conoscenza e poteri statali. Per “oliare” questa soluzione, divenuta l’unica in campo dopo l’abbandono delle ipotesi più drastiche che prevedevano una divisione in tre, l’Aran ha aperto a una soluzione-ponte, per consentire soprattutto ai sindacati settoriali di aggregarsi e raggiungere le dimensioni necessarie a superare l’asticella della rappresentatività (5% medio di voti e deleghe) anche nei nuovi comparti. La finestra avrebbe tempi e regole definite, con parametri stringenti per evitare alleanze strumentali e disomogenee. Dalla partita dovrebbe rimanere esclusa la presidenza del Consiglio, che con tutta probabilità rimarrà un comparto a sé dal momento che nessuno dei decreti attuativi della riforma Brunetta ha detto a chiare lettere il contrario.
La grana delle risorse
L’intesa è praticamente obbligata, anche se come detto non sarà semplice, perché la trattativa sui comparti è già durata molto più del previsto. Superare lo stallo è essenziale per avviare le trattative sul rinnovo dei contratti, con un passaggio destinato a sollevare nodi politici assai più rilevanti alla luce dei soli 300 milioni messi sul piatto dalla legge di stabilità e dell’obbligo, ribadito dai tribunali, di far decorrere i rinnovi dal 30 luglio scorso (giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza 178/2015 con cui la Consulta ha sancito la fine del blocco) e non dal 1° gennaio 2016 come previsto dal Governo. Tra i sindacati è opinione praticamente unanime che sia impossibile rinnovare i contratti con questa dote, ma il superamento del nodo-comparti rilancerebbe la patata bollente fra le mani del governo. La partita vera, insomma, deve ancora cominciare.
Il Sole 24 Ore – 4 aprile 2016