Congelamento dei contratti, blocco delle assunzioni, tetti agli stipendi individuali escono dai confini della Pubblica amministrazione «propriamente detta», e si estendono alla galassia delle società che ruotano intorno agli enti pubblici, e in particolare a quelli locali.
ra le realtà interessate da questi “effetti indotti” ci sono in prima fila le società di servizi locali controllate (anche se non interamente partecipate) dagli enti locali e titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali. Le politiche del personale di queste realtà non possono essere congelate direttamente dalla norma, ma il risultato è analogo perché la legge impone loro di «adeguarsi» alle regole per le Pa controllanti «in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria». Lo stesso obbligo abbraccia le società che svolgono servizi “fuori mercato” (tecnicamente si tratta di quelli «privi di rilevanza economica»), anche se per effettuare la loro attività hanno vinto una gara con l’ente locale, e le società strumentali.
Per queste ultime, che svolgono funzioni di “supporto” alla Pubblica amministrazione (per esempio la tenuta delle banche dati informatiche) e non si rivolgono direttamente ai cittadini, il colpo vero è però arrivato dal decreto del luglio scorso sulla «revisione della spesa pubblica».
Nel loro caso la spending review ha infatti già previsto il blocco degli stipendi, ma ha disposto anche l’obbligo di privatizzazione o chiusura, entro quest’anno, per cui oltre allo stipendio è in gioco in questi casi anche lo stesso posto di lavoro dei dipendenti (un censimento ufficiale non esiste, ma secondo stime iper-prudenziali si tratta di almeno 20-30mila persone). L’obbligo di uscire dal controllo pubblico o chiudere i battenti riguarda tutte le società che ricavino più del 90% del proprio fatturato dalle Pubbliche amministrazioni di riferimento, ma molte di loro proprio in queste settimane stanno giocando l’ultima battaglia per la sopravvivenza: gli enti locali possono infatti chiedere all’Antitrust di tenere le società giustificando la scelta con l’impossibilità di ricorrere «efficacemente» al mercato per ragioni di contesto (sociale, economico, territoriale). L’Authority ha già avvertito che l’esame non sarà formale, e passerà al setaccio bilanci, statuti e rapporti finanziari con gli enti. Se la deroga non sarà concessa, bisognerà partire con la privatizzazione, entro il 30 giugno, o con la chiusura entro fine anno.
Il Sole 24 Ore – 11 marzo 2013