L’effetto spirale è lì. Un avvitamento molto pericoloso tra le aspettative di un’inflazione minima, se non negativa, bassi salari e ulteriori pressioni al ribasso sui prezzi è possibile. Ed il recente rinnovo di alcuni contratti collettivi di lavoro, in Italia, lo dimostra. Per questo la politica monetaria della Banca centrale europea deve continuare a sostenere la crescita dell’economia e la creazione di posti di lavoro, condizioni indispensabili per riportare l’inflazione verso l’obiettivo del 2.
«Una politica monetaria meno accomodante, nelle attuali condizioni, sarebbe pericolosa per tutti» ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco nel corso di un seminario a Francoforte. Senza le misure varate dalla Bce tra il 2014 ed il 2015, ha aggiunto, sia l’inflazione che la crescita, nella zona euro, sarebbero stati inferiori di mezzo punto. L’economia sarebbe cresciuta di poco più dell’1%, invece dell’1,6%, e l’inflazione, che in realtà è stata pari a zero, sarebbe stata addirittura negativa. In Italia l’effetto sarebbe stato anche maggiore: senza l’impulso monetario la recessione sarebbe finita solo nel 2017, e per tre anni, dal 2015 al 2017, saremmo vissuti in deflazione.
E non è il caso di mollare adesso. «In Italia sono stati definiti dei meccanismi, in alcuni contratti collettivi di lavoro rinnovati recentemente, per i quali parte degli aumenti salariali futuri verrebbero ridotti nel caso il tasso di inflazione si rivelasse inferiore alle previsioni di base. Secondo le nostre simulazioni — ha detto il governatore — , l’adozione generalizzata di questo tipo di contratti ridurrebbe significativamente la crescita dei salari e questo, a sua volta, si rifletterebbe nella dinamica dei prezzi al consumo».
Il riferimento di Visco è al nuovo contratto collettivo dei 170 mila lavoratori del settore chimico e farmaceutico, siglato a ottobre, che prevede un aumento a regime di 90 euro lordi mensili, ma scaglionati e soggetti a una verifica. Gli scatti annuali, infatti, verrebbero ridotti se l’inflazione, stimata al 2% l’anno, si rivelasse più bassa. Una formula che potrebbe prendere piede in altri comparti del settore privato. Quest’anno sono interessati al rinnovo dei contratti collettivi circa 4 milioni di lavoratori nel settore privato, tra cui 1,8 milioni di metalmeccanici. La stessa Federmeccanica ha già provato a mettere sul tavolo gli aumenti salariali «ad elastico», aprendo il negoziato, l’anno scorso, con la richiesta di una restituzione di 75 euro sui 130 riconosciuti dal vecchio contratto, proprio per l’inflazione sotto le attese.
Oltre ai privati, attendono il rinnovo del contratto anche 3 milioni di lavoratori pubblici, “sbloccato” dopo anni di congelamento da una sentenza della Corte Costituzionale. Per loro la Legge di Stabilità di quest’anno stanzia appena 300 milioni di euro, con i quali verrebbero fuori aumenti medi di 8 euro lordi mensili a testa. Le risorse dovranno essere integrate e la misura potrebbe emergere già oggi dal Documento di economia e finanza che verrà approvato dal Consiglio dei ministri in serata. E sempre a proposito di contratti, nel Piano Nazionale di Riforma che accompagnerà il Def, dovrebbe venir sostanziato il piano dell’esecutivo per rafforzare la contrattazione aziendale o di secondo livello, sulla quale l’esecutivo vorrebbe trasferire anche una porzione consistente dei contenuti economici del contratto nazionale.
Il Def ridurrà all’1,2-1,4% le attese per la crescita del prodotto interno lordo del 2017, con il deficit che verrebbe fatto scivolare dall’1,1% programmato, fin quasi al 2%, confermando gli sgravi Ires per le imprese e il congelamento degli aumenti dell’Iva e delle accise per 15 miliardi. Il governo, dunque, intende sfruttare anche per l’anno prossimo la flessibilità di bilancio, anche se la Commissione è restia. La Ue, tra l’altro, deve ancora autorizzare lo slittamento del deficit 2016 al 2,4%. In caso negativo, lo sforamento verrebbe coperto con una manovra amministrativa di circa 3 miliardi. Confermata anche la riduzione del rapporto deficit/pil nel 2017, nonostante i ritardi nelle privatizzazioni. L’Enav comunque è quasi pronta per il mercato, mentre avanza l’ipotesi della fusione tra Ferrovie e Anas.
Mario Sensini – Il Corriere della Sera – 8 aprile 2016