Il Sole 24 Ore. La riforma del lavoro a termine e della somministrazione messa in cantiere dal Governo con il pacchetto lavoro contiene diverse novità e alcune conferme. Le novità riguardano le ipotesi che consentono a un datore di lavoro di rinnovare un contratto a termine (e di somministrazione) scaduto, oppure di prorogarlo oltre la durata massima complessiva di 12 mesi. Secondo la nuova disciplina, il datore di lavoro può procedere al rinnovo o alla proroga in presenza di tre diverse situazioni.
La prima è quella in cui il datore di lavoro ricada in uno dei casi previsti da un accordo collettivo, di livello nazionale, territoriale o aziendale, sottoscritto da organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Per il concreto funzionamento di questa ipotesi è necessario, quindi, che un contratto collettivo – di primo o secondo livello – disciplini i casi che consentono il rinnovo o la proroga ultrannuale del rapporto a termine. La scelta di responsabilizzare i contratti collettivi nella scrittura delle regole di utilizzo del lavoro a tempo non è nuova, ma finora ha avuto poco successo; probabilmente, la decisione di ribadire questo ruolo dentro una riforma organica della materia può stimolare un maggiore coinvolgimento della contrattazione collettiva nella gestione del lavoro flessibile.
La seconda ipotesi ammessa dalla riforma per consentire rinnovi e proroghe oltre i dodici mesi è quella in cui, in mancanza di un accordo collettivo, siano le stesse parti a descrivere nel contratto le «esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva» che consentono di procedere al prolungamento del rapporto. Questa opzione – che, secondo le ultime bozze del decreto, dovrebbe essere utilizzabile solo fino al 31 dicembre 2024 – ha il merito di non assegnare un ruolo eccessivamente preclusivo alla contrattazione collettiva, lasciando alle parti del contratto – i datori e i lavoratori – la facoltà di definire, in mancanza di un accordo collettivo, quali siano le esigenze che rendono necessario il rinnovo o la proroga oltre i 12 mesi del rapporto a termine. Una novità importante, che lancia un segnale di fiducia alle imprese e alla loro capacità di gestire il lavoro a termine in maniera equilibrata.
Certamente, il ritorno al sistema della causale dovrà essere gestito con attenzione dalle parti, come insegna la storia normativa degli ultimi 20 anni, durante i quali le diverse maggioranze politiche che si sono succedute alla guida del Paese hanno cambiato, a ritmo incessante, la disciplina del lavoro a termine, proprio per cercare di gestire gli effetti non sempre lineari che ha prodotto la causale.
Come si vede dalla grafica in pagina, c’è stata un’oscillazione marcata nella regolazione del lavoro a termine, che ha visto l’alternanza tra soluzioni di grande apertura alla flessibilità (i tre anni senza causale del Jobs Act), sistemi molto vincolanti (i 12 mesi del decreto Dignità, superabili in casi del tutto eccezionali), e tante soluzioni intermedie (le diverse tappe di avvicinamento verso il sistema acausale).
La terza ipotesi nella quale sarà consentita la proroga o il rinnovo del rapporto a termine è quella in cui il datore di lavoro abbia la necessità di sostituire altri lavoratori.
Questo nuovo impianto si inserisce nel sistema di regole e limiti esistente, che non viene in alcun modo scalfito (i limiti quantitativi e la durata massima dei rapporti privi di causale restano invariati).
Non siamo di fronte, quindi, a una liberalizzazione del lavoro a tempo, che resta comunque soggetto a diversi vincoli; si tratta, piuttosto, di un tentativo di costruire uno spazio aggiuntivo di ricorso alla flessibilità, che non è rimesso alla libertà indiscriminata del datore ma neanche soggetto ai vincoli sostanzialmente inapplicabili del decreto Dignità.
Sarebbe opportuno che questa nuova riforma, necessaria per superare gli errori della scorsa legislatura, fosse seguita da un lungo periodo di moratoria legislativa, per consentire ai datori di lavoro, alle parti sociali e alla giurisprudenza di trovare le forme migliori per scrivere le regole in modo legittimo e corretto dal punto di vista normativo. Uno sforzo indispensabile per evitare che la causale torni a essere lo strumento che era diventato a cavallo dello scorso decennio: un pretesto per avviare, alla fine del rapporto a termine, un contenzioso focalizzato su errori formali, che non offriva reali prospettive occupazionali alle persone.
È necessario, per combattere il lavoro precario delle false partite Iva e delle Cococo illecite, che nel mercato del lavoro le imprese scelgano la flessibilità regolare: una normativa stabile e la sua applicazione corretta sono le premesse indispensabili perché questa scelta sia fatta con decisione.