Margini ampi per il sequestro probatorio nelle indagini per contraffazione alimentare. Il provvedimento che “congela” beni o anche documenti contabili e fiscali può prescindere dalla consapevolezza dell’illecito da parte dell’indagato, dovendo solo garantire – il sequestro – la formazione della prova ed eventualmente ampliare il raggio dell’inchiesta.
La Terza penale della Corte di cassazione (sentenza 39508/17 depositata ieri) torna sul sequestro probatorio per respingere il ricorso di un imprenditore coinvolto – forse anche solo marginalmente – in un vasto giro di contraffazione di olio extravergine toscano Igp. Stando all’indagine della Guardia di finanza, l’imprenditore tre anni fa avrebbe acquistato partite di olio in realtà di origine greca, “tagliato” con qualche oliva locale solo per riuscire a commercializzarlo come toscano.
La Procura, che indagava sul vertice della presunta organizzazione criminale, aveva iscritto nel registro degli indagati 47 persone, molte delle quali – come il ricorrente in Cassazione – semplici acquirenti di piccole partite di prodotto, disponendo il sequestro probatorio di documentazione contabile e fiscale. L’imprenditore aveva cercato di ottenere la restituzione dell’archivio acquisito dalla Gdf davanti al Riesame di Grosseto, che però aveva ribadito il vincolo del Gip.
Secondo la lamentazione difensiva, non c’era alcuna evidenza del coinvolgimento (doloso) del sequestrato – pertanto illegittimamente iscritto a indagati – e inoltre il blocco dell’archivio contabile/fiscale era stato finalizzato, stando a questa prospettazione, a ricercare la notitia criminis e non già invece per assicurare al processo le fonti di prova.
La Cassazione però ha totalmente disatteso le conclusioni del ricorso, sottolineando che il sequestro probatorio ha una «portata ben più ampia del diverso istituto del sequestro preventivo». Perché il primo sia legittimo, infatti, basta che si collochi dentro una «notizia di reato legittimamente acquisita», quale non è, esemplifica la Corte, una semplice notizia confidenziale, e basta che non si tratti di elementi di fatto così labili da non essere «sussumibili in una specifica ipotesi di reato».
E proprio sul reato va misurato il fumus per l’applicazione della misura, e non invece sulla colpevolezza dei singoli indagati, aggiunge la Terza, che sarà esaminata e valutata in sede di merito, e cioè a conclusione del lavoro di investigazione.
Nel caso specifico, quindi, la magistratura locale ha correttamente inquadrato la fattispecie e proceduto a sequestrare documenti per «la finalità di verificare l’estensione dell’operazione commerciale fraudolenta».
Quanto all’iscrizione a registro dei molti indagati, secondo la Corte non si tratta di un passaggio tecnicamente necessario – «ben potendo essere effettuato il sequestro nei confronti di chiunque sia in possesso» di cose collegabili al reato – ma si giustifica piuttosto con la «funzione di maggior tutela nei confronti del titolare di cose che vengano comunque assoggettate a sequestro probatorio».
E sempre in relazione al sequestro, non è neppure necessaria la prova della pertinenza o di corpo del reato, «essendo sufficiente la semplice possibilità, purché non astratta od avulsa dal caso concreto».
Alessandro Galimberti – Il Sole 24 Ore – 30 agosto 2017