Sette rialzi consecutivi in poco meno di un anno. L’inasprimento dei tassi avrà riportato il Paese anche al «new normal», ma l’inflazione sembra ancora resistere alla terapia d’urto di Christine Lagarde. Il combinato disposto si è rivelato un cocktail avvelenato per gli italiani, che infatti sono stati costretti a risparmiare sempre di meno. Risultato? Da dicembre a marzo famiglie e imprese hanno visto evaporare dai propri conti corrente 50 miliardi di risparmi.
«Le banche restituiscano alla clientela i benefici dei tassi alti, l’inflazione si combatte con importanti aumenti economici nei rinnovi contrattuali», dice senza troppi giri di parole Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, sindacato dei bancari che ha analizzato il fenomeno e che da lunedì 12 giugno (e fino al 16 giugno) metterà al centro del suo 22esimo congresso a Roma.
La ricchezza in fumo per colpa di tassi alti e inflazione
Numeri alla mano, la ricchezza accumulata nel corso di anni — avverte la federazione autonoma — rischia di andare in fumo in pochissimo tempo. Il dimagrimento dei salvadanai delle famiglie italiane era cominciato già dai primi mesi del 2022: la tendenza al risparmio era vicina allo zero nei primi cinque mesi (in media pari allo 0,2% da gennaio a maggio) e con tassi di decrescita crescenti nel restante semestre, ma il caro prezzi ha cominciato a erodere anche le riserve accumulate dal sistema produttivo italiano (per una percentuale pari all’1,4% ovvero 4,4 miliardi di euro).
50 miliardi spesi per coprire consumi e investimenti
Le famiglie italiane vantavano depositi sui conti bancari per circa 1.163 miliardi di euro alla fine dell’anno 2021 e 1.174 miliardi di euro a dicembre 2022 mentre la liquidità in conto posseduta dalle imprese si attestava a pressoché 428 miliardi di euro a fine anno 2022 e a 423 miliardi di euro lo scorso dicembre. Le due componenti, complessivamente, superavano i 1.500 miliardi a fine 2022 che, insieme alle disponibilità liquide di onlus, enti previdenziali ed assicurazioni, sfioravano il tetto dei 2.015 miliardi alla stessa data, contro i 2.076 miliardi di euro a fine 2021. Il decremento complessivo delle risorse depositate è stato pari, in soli tre mesi, a ben 50 miliardi di euro spesi per coprire consumi e investimenti. «Se si analizzano tutte le forme di giacenza sui conti bancari, sono oltre 61 miliardi di euro i depositi totali “saccheggiati” dagli italiani a partire da dicembre 2021 fino ad arrivare a marzo 2023, utili per fronteggiare i danni economici subiti da inflazione e il ridotto potere di acquisto», puntualizza la Fabi. L’allarme rosso però suona alla fine del primo trimestre del 2023 quando risulta evidente che la difficoltà economica a rincorrere la sfrenata risalita dei prezzi con la propria capacità reddituale continua, infatti, ad erodere pesantemente la liquidità del sistema.
L’aumento dei tassi applicati a prestiti e mutui (non ai depositi)
A fine marzo dell’anno in corso, i depositi delle famiglie si contraggono del 2,14% – raggiungendo il valore di 1.149 miliardi di euro e quello delle imprese di un 7,56%, attestandosi a scarsi 390 miliardi. La variazione media è del 5% e, in termini monetari, di circa 25 miliardi di euro per le famiglie e di ben 32 miliardi per il sistema imprese. In questo quadro c’è un altro aspetto da considerare. La divaricazione nell’aumento dei tassi di interesse applicati da una parte ai prestiti e ai mutui e dall’altra a depositi e conti. Se i primi sono, infatti, aumentati ampiamente nel corso degli anni – sottolinea il sindacato -, permettendo alle banche di moltiplicare i propri ricavi e raggiungere l’unico obiettivo di accrescere gli utili favorendo così gli azionisti con dividendi sempre maggiori, gli altri sono rimasti pressoché invariati, dimostrando come agli istituti di credito interessi poco premiare chi deposita la propria liquidità in banca.
Una realtà – ribadisce la Fabi – che trova conferma negli utili al 31 dicembre 2022 dei maggiori istituti di credito italiani, pari a 12,8 miliardi di euro, in aumento del 66% sul 2021, segno di ricavi in aumento, minore costo del credito e spese operative invariate.
Le banche digitali e la politica sui conti correnti
Va segnalato che le banche hanno cominciato ad aumentare i tassi su alcune forme di raccolta, come i depositi con durata prestabilita o vincolati e sui pronti contro termine, mentre tendono a mantenere remunerazioni particolarmente contenute sui conti correnti, ormai ritenuti sempre più un servizio e non una forma di risparmio. Anche se, parlando con i banchieri, ci si sentirà ripetere che i conti corrente sono strumenti di servizio e non di investimento. La risposta semmai è arrivata dalle banche digitali, che hanno scelto di premiare i correntisti (grazie anche al fatto di non avere costi per strutture come gli sportelli). «Il potere d’acquisto degli stipendi, purtroppo, è tornato indietro di 25 anni. La soluzione va quindi cercata nel rinnovo dei contratti collettivi di lavoro, alcuni scaduti anche da più di cinque anni, con importanti aumenti economici. Chi ha liquidità sul proprio conto corrente è particolarmente colpito perché i suoi soldi valgono sempre meno. Per questo è fondamentale che le banche, che hanno beneficiato dell’aumento del costo del denaro, adesso restituiscano alla clientela una parte di quei benefici alzando i tassi d’interesse sui conti correnti», dice Sileoni.
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