Se sparisce l’Imu interventi triplicati. Panetta: «la crisi più profonda dalla fine della Seconda guerra mondiale»
ROMA – Dal 2015 saranno necessarie nuove manovre perché l’Imu sulla prima casa è destinata a scadere così come l’aumento dei moltiplicatori con cui si calcola la rendita catastale. E poi da conteggiare altri due miliardi all’anno in più dopo la bocciatura della Corte costituzionale a nuovi ticket sanitari. Ma il prossimo governo, anche se il Def (Documento di economia e finanza) non lo dice, rischia di dover varare una manovra anche per quest’anno per coprire una serie di spese, dalla cassa integrazione alle missioni militari all’estero.
La versione definitiva del Def approdato ieri in forma definitiva con centinaia di pagine e tabelle è decisamente meno rosea delle anticipazioni. Nel testo si prospetta chiaramente il ricorso a nuovi interventi che variano di intensità a seconda che l’Imu venga confermata o venga abolita. Nello specifico, per proseguire un calo tendenziale dell’indebitamento e per mantenere il pareggio di bilancio strutturale, si parla di manovre per 20 miliardi nel triennio 2015-2017 se l’attuale imposizione sulla casa viene confermata, se invece salta come molte forze politiche vanno sostenendo, le manovre schizzano a 60 miliardi. Tutto questo senza tener conto delle griglie imposte dal fiscal compact che ci impone di ridurre il debito pubblico di un ventesimo all’anno a partire dal 2015.
I rischi paventati a caldo l’altro giorno dal responsabile economico del Pd Stefano Fassina sono dunque confermati. E ieri sia Fassina che Pierpaolo Baretta (relatore della finanziaria per il Pd) hanno prospettato la necessità di fare una manovra aggiuntiva già da quest’anno da 6 a 8 miliardi di euro per finanziare una serie di voci: l’ulteriore rinvio della Tares e dell’aumento Iva, la cassa integrazione in deroga, gli esodati, le missioni all’estero, i contratti di servizio con Anas, Poste, Ferrovie e il bonus del 55% per le ristrutturazioni green. «Un intervento che si può evitare – precisa Fassina – se il nuovo governo si deciderà ad andare a Bruxelles come hanno fatto altri Paesi per ottenere una revisione del percorso di rientro».
Il quadro sopra riportato si riferisce inoltre a stime di decrescita per il 2013 migliori (-1,3%) di quelle che circolano nelle analisi dei privati che ipotizzano una contrazione di 1,7-1,9 punti. Così come la crescita del Pil negli anni successivi di 1,3-1,4 o le privatizzazioni per un punto di Pil all’anno sono in realtà previsioni rosee scritte sulla sabbia. Nessuno sa come andrà l’economia italiana e quella europea in bilico tra interventi sviluppisti e grande rigore alla tedesca.
«Il cuore del problema italiano è come tornare a crescere – sostiene Mario Monti nella prefazione del Def – e il Paese non può aspettare che la tempesta passi deve agire subito per il 2014 deve essere una anno di trasformazione». La sua visione resta ancorata al rigore del pareggio di bilancio. L’impulso alla crescita deve essere trovato mediante riforme strutturali «accrescendo la produttività totale dei fattori del sistema» oppure ricorrendo a una «fiscalità più flessibile, innovativa, capace di dare incentivi agli investimenti nei settori che portano la crescita». Non si nasconde, nelle pagine del Def, che il debito pubblico è cresciuto di dieci punti negli ultimi due anni arrivando al record storico di 130,4% rispetto al Pil. Ma si immagina che la discesa inizi già dall’anno prossimo e sia più veloce del previsto per arrivare alla soglia del 117% entro la fine del 2017. Così come si fa notare che i risparmi da un calo dello spread nei confronti del bund tedesco ammonteranno a 7,7 miliardi di euro nel 2015.
Lo scenario in cui versa l’Italia resta molto problematico. Per il vicedirettore generale della Banca d’Italia Fabio Panetta «l’economia italiana sta attraversando la crisi più profonda dalla fine della Seconda guerra mondiale e rispetto al 2007 il prodotto interno è sceso di 7 punti percentuali, il numero di occupati di 600.000 unità». Panetta ha ricordato come «i cali di produzione più pesanti sono stati registrati dall’industria manifatturiera e dal settore delle costruzioni» mentre la produzione industriale è «oggi inferiore di quasi un quarto al livello precrisi».
Corriere della Sera – 12 aprile 2013