Identificare gli interventi a elevato rischio, incluso il parto, e rendere obbligatoria l’assicurazione, in primo rischio ed anche per colpa grave, per tutte le strutture che li praticano. Sono due delle quattro proposte avanzate dai ginecologi durante l’audizione di oggi in Commissione parlamentare sugli errori sanitari.
Il Decreto sanità del ministro Balduzzi, recentemente approvato dal Parlamento, non risolverà i problemi della medicina difensiva e della crescita esponenziale del contenzioso medico-paziente. Le norme in esso contenute, riferite alla responsabilità professionale dei sanitari (art. 3 del decreto), sono infatti assolutamente insufficienti ad arginare il fenomeno con misure idonee ed appropriate. Tra i problemi più preoccupanti legati all’aumento esponenziale di richieste di danni per i casi veri e presunti di malasanità vi è anche la progressiva chiusura del mercato assicurativo che spunta condizioni contrattuali sempre più onerose in termini di costi e di minori garanzie. Fenomeno che sta provocando una vera e propria fuga delle Asl dalle assicurazioni e viceversa, con il rischio concreto che molte Asl possano trovarsi senza assicurazione.
Questa la posizione espressa oggi dalla più importante associazione di ginecologi e ostetrici italiani, l’Aogoi nel corso di un’audizione alla Camera presso la “Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali” presiedute dall’on. Antonio Palagiano (Idv). All’audizione ha partecipato una delegazione costituita da Vito Troiano, presidente Aogoi, Antonio Chiantera, segretario nazionale Aogoi, e due componenti dell’ufficio legale Aogoi.
“L’attività dei ginecologi italiani – ha sottolineato l’Aogoi in un documento consegnato alla Commissione – è oggi drammaticamente gravata dall’incremento continuo delle richieste risarcitorie e da un contenzioso medico legale aumentato a dismisura, che toglie agli operatori sanitari ogni possibilità di sereno svolgimento della propria attività professionale. L’attività propria dell’assistenza alla gravidanza e al parto così come l’attività svolta in camera operatoria nella ginecologia – aggiunge l’Aogoi – richiedono assoluta serenità degli operatori in un rapporto medico paziente di reciproca fiducia e solidarietà”.
“Del resto nella pratica medica – prosegue il documento dei ginecologi – ben possono sorgere delle complicanze che non sono in alcun modo ascrivibili all’errore umano ma che fanno parte proprio delle attività professionali dell’ostetrico ginecologo, ossia dell’”alea terapeutica”. La medicina – aggiungono i medici – non conosce certezze assolute e rischi o eventi avversi spesso non sono causalmente riconducibili a condotte colpose dei singoli medici che anzi agiscono con il massimo scrupolo ed impegno. Occorre – concludono – distinguere la “complicanza” dall’ “errore” professionale e chiarire, una volta per tutte, che la complicanza non può e non deve diventare ostracismo per il medico, fonte d’insulto mediatico e di angoscia giudiziaria”.
Tra i casi più emblematici sollevati dall’Aogoi davanti alla Commissione, quello di una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna di un ginecologo a pagare risarcimenti molto elevati a seguito della nascita di un neonato con sindrome di Down. Ma l’accusa al ginecologo non è stata quella di esserne stato causa per malpractice bensì quella di essere responsabile di aver prescritto il solo “Tritest”, un esame diagnostico che non permetteva di escludere con certezza alterazioni cromosomiche del feto, pregiudicando pertanto la possibilità di ricorrere all’aborto da parte della donna.
Un precedente giurisprudenziale “molto grave”, secondo l’Aogoi, in quanto si verrebbe ad affermare la colpa del medico non per avere provocato una malformazione al feto (circostanza ovviamente condannabile) ma per non essere riuscito a diagnosticarne il rischio e quindi per non aver reso possibile l’aborto, condannandolo così al risarcimento per aver reso possibile una “nascita”, seppur di un soggetto diversamente abile.
“Al di là dei pesanti oneri economici che tali incondivisibili approcci comportano – spiega l’Aogoi – per i medici ginecologi restano inaccettabili i ragionamenti che, rimandando all’aborto eugenetico, offendono la dignità di coloro che amano le persone diversamente abili e finiscono col riproporre teorie ripudiate dalla Carta Costituzionale”.
Per uscire da questa situazione, l’Aogoi ha proposto alla Commissione il varo di una proposta di legge nell’interesse della salute pubblica e per ridurre la medicina difensiva, che:
1. identifichi, attraverso una Commissione integrata anche con le Società Scientifiche nazionali di categoria, gli interventi chirurgici ed in genere, tutte le pratiche sanitarie, anche diagnostiche, ad elevato rischio di esito non ottimale, ivi inclusa l’assistenza al parto, in relazione alle quali riconoscere circostanze attenuanti in sede penale e un’attenuazione dei criteri per l’attribuzione della colpa grave, nel giudizio civile;
2. escluda ogni ipotesi di risarcimento danno in favore della persona con handicap per il solo fatto della nascita, allorquando l’handicap non è stato provocato, aggravato o non evitato dall’errore medico, così come è avvenuto in Francia all’indomani di una sentenza del 2011 similare a quella della nostra Corte di Cassazione;
3. modifichi il 3° comma dell’art.3 della L. 189/12 (decreto Balduzzi) eliminando il concetto di “danno biologico” e disciplinando invece il “danno liquidabile secondo equità” ovvero, e quanto meno, il “danno non patrimoniale” (nella sua interezza) conseguente all’attività dell’esercente la professione sanitaria;
4. renda obbligatoria l’assicurazione, in primo rischio ed anche per colpa grave, per tutte le strutture sanitarie ove si svolgono interventi chirurgici e/o pratiche sanitarie, anche diagnostiche, ad elevato rischio di esito non ottimale, ivi inclusa l’assistenza al parto, a garanzia di qualunque danno causato ai pazienti da parte del chirurgo o per fatto autonomo della struttura.
L’Aogoi ha infine chiesto alla Commissione parlamentare di intervenire presso ciascun Ministero della Salute, per quanto di sua competenza, affinché siano resi operativi su tutto il territorio nazionale i livelli massimi di risarcimento fissati dalla Corte di Appello di Milano e siano adottati i più opportuni provvedimenti per “calmierare” proporzionalmente i premi assicurativi.
quotidianosanita.it – 28 novembre 2012