Il «contact tracing» che in alcuni Paesi ha fatto davvero la differenza nel tenere sotto controllo il Covid ed evitare l’esplosione dei contagi e dei morti – è il caso a esempio della Corea del Sud regina del tracciamento – ha però bisogno di molto personale dedicato e tanti, tantissimi test ogni giorno. Due punti sui quali in questi mesi non si è lavorato abbastanza visto che dai report dell’Iss risulta che gli addetti al tracciamento nelle Regioni si aggirano sempre sulle 10mila unità in totale, come a inizio della seconda ondata in autunno e con forti differenze tra le Regioni. Anche sul numero dei tamponi la situazione non è molto diversa. Se l’Inghilterra a esempio ha toccato punte di 1,5 milioni di test al giorno l’Italia non si è mai scollata dalla media di 250-300mila test al giorno. Tra l’altro circa la metà di questi non sono tamponi molecolari “ordinati” dalle Asl nelle attività di verifica, ma test rapidi anti-genici spesso effettuati dai cittadini autonomamente per verificare possibili contagi e nella stragrande maggioranza dei casi negativi.
Eppure quello del contact tracing è l’attività più importante nella fase di contenimento del virus – quella in cui stiamo tornando ora con la riduzione dei contagi – che grazie ai tamponi a tappeto punta a scovare tutti i nuovi possibili positivi venuti a contatto con un contagiato: in media servono almeno 10-15 test per ogni positivo, cioè il numero minimo di persone che potenzialmente può incontrare un positivo.
Una mano la potrebbero dare i nuovi «test salivari molecolari» che il ministero della Salute dovrebbe autorizzare come idonei a certificare i positivi. Da settimane il dossier è sul tavolo ma non c’è stato ancora il via libera per questi test sicuramente meno invasivi dei tradizionali tamponi (si raccoglie un campione di saliva masticando uno stecchino) e che potrebbero essere utilizzati in massa a esempio per le scuole.