Si passa dai 5.700 euro all’anno per famiglia nel 2008 ai 5.364 euro nel 2010, con un calo record del 6 per cento. Per colpa della crisi, i consumatori “svuotano” il carrello e cambiano abitudini a tavola: il 60 per cento dichiara di aver modificato il proprio menù e il 34 per cento di aver optato per prodotti di qualità inferiore. Per molti è ormai una necessità, per altri uno dei vari modi di far quadrare il bilancio familiare. Una cosa, però, è certa: risultano in costante aumento le famiglie italiane che, alle prese con il “caro-vita” e gli effetti della crisi economica, sono costrette a risparmiare sugli acquisti alimentari.
E non si tratta più solo di lesinare sulla qualità del cibo, rifornendo dispensa e frigorifero di promozioni e “low-cost”: oggi gli italiani “tagliano” anche sulla quantità, riducendo i consumi di prodotti base della dieta mediterranea come pane, pasta, carne e verdura. Il risultato più immediato è che la spesa alimentare cede ancora il passo: era di 461 euro mensili a famiglia nel 2009, cala a 447 euro medi al mese nel 2010. Vuol dire il 3,1 per cento in meno in dodici mesi e ben il 6 per cento in meno da quando è cominciata la crisi. Rispetto al 2008, infatti, quando si spendevano mediamente 475 euro per cibo e bevande, le famiglie italiane hanno destinato quasi 30 euro in meno ogni mese per fare la spesa al supermercato. Lo rivela un’indagine della Cia-Confederazione italiana agricoltori, presentata in occasione della 5ª Conferenza economica in corso a Lecce.
La flessione drastica della spesa per gli alimentari diventa ancora più evidente se si mettono a confronto le cifre annue: se nel 2008 il budget riservato alla tavola era pari complessivamente a 5.700 euro per famiglia -spiega la Cia- nel 2009 scende a 5.532 euro, per poi toccare quota 5.364 euro a fine 2010. Nel giro di un triennio, quindi, gli italiani hanno ridotto di circa 350 euro la parte dello stipendio riservata a cibo e bevande. Causando un’accelerazione della tendenza alla perdita di peso degli acquisti riguardanti l’alimentazione, scesi dal 17,3 al 16,5 per cento del totale della spesa sul territorio nazionale.
Ma spendere di meno significa dover cambiare le abitudini alimentari. E infatti -continua la Cia- oltre la metà delle famiglie italiane (il 60 per cento) sostiene di aver modificato il menù rispetto al passato e il 35 per cento di aver limitato gli acquisti. Significa che oggi ben 7,7 milioni di famiglie riempiono di meno le buste della spesa e non soltanto di prodotti superflui, ma di quelli che da sempre sono ritenuti beni di prima necessità. Nel contesto dei “tagli” alimentari, viene fuori che il 40,2 per cento degli italiani ha diminuito gli acquisti di frutta e verdura, il 36 per cento quelli di pane e pasta e il 39,5 per cento quelli di carne e pesce. Indicazioni che trovano conferma nel consuntivo 2010 dei consumi alimentari: l’anno scorso, dati Ismea alla mano, sono calate infatti le quantità acquistate di pane e pasta (scesi rispettivamente del 2,7 per cento e dell’1,8 per cento su base tendenziale), carne rossa (meno 4,6 per cento), prodotti ittici (meno 2,9 per cento), ortofrutta (meno 1,8 per cento) e vino da tavola (meno 2,1 per cento).
Oltre alla quantità, i consumatori sono costretti spesso a rinunciare anche alla qualità. Complice la perdita di potere d’acquisto e la ripresa dell’inflazione -sottolinea l’indagine della Cia- il 34 per cento delle famiglie del Belpaese (7,4 milioni) dichiara di optare per prodotti di qualità inferiore e il 30 per cento (6,6 milioni) di rivolgersi ormai quasi esclusivamente alle promozioni commerciali. Sono risultati che possono spiegare in parte il successo di prodotti confezionati come le insalate in busta o il pane in cassetta, che non sono appannaggio solo delle grandi marche e su cui la Grande distribuzione applica di frequente sconti, 3×2 e promozioni tramite carte fedeltà.
Ecco quindi che nel 2010, in netta controtendenza rispetto ai cibi base del paniere alimentare, i prodotti di IV gamma hanno registrato un aumento dell’8 per cento in quantità, così come i sostituti del pane (più 4,3 per cento) e gli ortaggi e legumi surgelati e in barattolo (più 0,4 per cento). Ma la crescita di questi prodotti -aggiunge la Cia- dipende anche dal fatto che hanno una scadenza più dilatata nel tempo rispetto ai “freschi” e soprattutto c’è la possibilità di trovarli anche in veste “low-cost”.
D’altronde, proprio la scelta del basso costo oggi sta facendo la fortuna dei discount e delle catene più economiche. Per risparmiare, infatti, le famiglie italiane cambiano non solo la composizione della spesa, ma anche la tipologia di esercizio commerciale a cui rivolgersi. Nel 2010 -ricorda la Cia- i piccoli negozi e le botteghe tradizionali hanno perso il 5,7 per cento, mentre iper e supermercati si sono dovuti accontentare di un misero più 0,2 per cento. Di contro, gli unici punti vendita a segnare un balzo in avanti sono stati appunto gli hard-discount, con un aumento netto dell’1,3 per cento.
E purtroppo anche il 2011 non promette grandi cambiamenti sul fronte alimentare. Il rialzo dell’inflazione, spinto su dal “caro-energia” e dal boom delle commodity, i redditi bassi e le vendite al palo, non sembrano poter spingere in avanti i consumi a tavola. Già il primo trimestre dell’anno, d’altra parte, ha messo in evidenza lo stesso trend del 2010: acquisti in calo di oltre il 3 per cento, flessione pressoché generalizzata di tutti i canali di vendita, orientamento a comprare meno prodotti e di qualità inferiore. Tutti elementi che portano a ritenere impossibile una vera ripresa dei consumi domestici prima del 2012. Secondo le stime della Cia, invece, nel 2011 i consumi alimentari non si discosteranno dall’andamento stagnante dell’anno precedente e resteranno ancora in territorio negativo, in una forbice compresa tra il meno 0,2 e il meno 0,5 per cento. Ma con un calo della domanda più marcato nel Mezzogiorno che nel resto d’Italia.
fonte: Ufficio studi Cia – 10 giugno 2011