La Corte Costituzionale attraverso la sentenza n. 351/2010 ha stabilito che il premio di servizio di fine rapporto dei Direttori generali delle Asl deve essere calcolato in base allo stipendio percepito da manager e non in base a quello dell’amministrazione di provenienza. Respinte le eccezioni di costituzionalità sollevate dalla Corte d’Appello di Ancona.
Il contenzioso era stato sollevato da un Direttore generale (M.A.L.), già dipendente presso l’Ausl 9 di Macerata che, andato in pensione il 1° ottobre 2002 dopo aver ricoperto la carica di Dg presso l’Asl n.4 di Terni si era visto corrispondere dall’Inpdap l’indennità di premio di fine servizio in base ai compensi ‘virtuali’ che l’amministrazione da cui proveniva (prima di essere nominato Dg) gli avrebbe corrisposto qualora fosse rimasto in servizio effettivo e non in base a quanto guadagnato con lo stipendio da Dg (ben superiore rispetto al precedente). Il Tribunale di Macerata aveva condannato l’Inpdap a pagare 136.374,73 euro a M.A.L. quale differenza tra la minor somma corrisposta e quella dovuta a titolo di liquidazione del trattamento di fine servizio.
In 2° grado, con ordinanza del 9 aprile 2009, la Corte d’appello di Ancona ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale rispetto all’art. 76 della Costituzione dell’art. 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), nella parte in cui, rispettivamente, si abrogava la disposizione di cui all’art. 3, comma 8, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e veniva aggiunto l’art. 3-bis, comma 11, al medesimo d.lgs. n. 502 del 1992, prevedendo che i contributi previdenziali – da versarsi da parte dall’amministrazione di appartenenza del dipendente collocato in aspettativa senza assegni, in quanto nominato direttore generale di azienda sanitaria locale – siano calcolati sul trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito. In sostanza la Corte d’Appello ha sostenuto che la 229/1999 abrogando la norma contenuta nella 502/92 esercitasse un eccesso di delega, da qui la Corte di appello di Ancona in riferimento all’art. 76 della Costituzione ha sollevato la questione di legittimità dell’art. 3, commi 2 e 3, del Dlgs. 229/99. La vecchia norma stabiliva che il premio di fine rapporto venisse calcolato proprio in base ai compensi virtualmente percepiti dal Dg se fosse rimasto a lavorare presso la sua amministrazione di provenienza. La Consulta con la sentenza ha dichiarato non fondata la questione di legittimità in quanto con la 229/99 il legislatore intendeva eliminare le disparità di trattamento che erano emerse con la 502/92 con l’obiettivo di rendere omogeneo il trattamento assistenziale e previdenziale (attraverso una base comune di calcolo) tra tutti i soggetti che, pur provenienti da settori diversi, pubblici e privati, si trovino ad espletare le funzioni di Dg. Ecco quindi che con la sentenza n. 351 la Consulta è intervenuta allo scopo di parificare i trattamenti legittimando così le possibili future richieste di trattamento di tutela previdenziale che potrebbero essere avanzate da i Direttori generali provenienti dal settore privato.
Quotidianosanita.it
13 dicembre 2010