La spending review del governo Monti che nel 2013 ha sforbiciato 2,25 miliardi ai fondi dei Comuni è illegittima. Lo ha deciso la Corte costituzionale, nella sentenza 129/2016 depositata ieri (presidente Grossi, relatore Cartabia) che sembra però destinata a incidere sul piano dei principi più che su quello pratico: in discussione non è la misura dei tagli, frutto del «coordinamento della finanza pubblica», ma le modalità di distribuzione, che sono state “automatiche” e non hanno previsto un coinvolgimento degli amministratori locali.
La questione si spiega se si ricordano le travagliate vicende applicative che hanno caratterizzato la spending review targata Monti, nata in un contesto di emergenza ma con l’obiettivo dichiarato di superare i tagli “lineari” per abbracciare criteri più raffinati e utili a colpire gli sprechi locali. L’obiettivo è stato mancato, e la sentenza depositata ieri dai giudici costituzionali lo certifica. Per non colpire a casaccio, il governo dei tecnici aveva deciso di distribuire i tagli in modo proporzionale alla quota di spesa per «consumi intermedi» sostenuta da ogni Comune e certificata dal Siope, il sistema telematico con cui il ministero dell’Economia misura in tempo reale incassi e pagamenti delle Pa.
Nel 2012 un accordo in Conferenza unificata “sterilizzò” una quota importante dei tagli previsti per quell’anno, 500 milioni, ma nel 2013 governo e amministratori locali non raggiunsero l’intesa, e i 2,25 miliardi furono tagliati in proporzione ai consumi intermedi. Il meccanismo, rileva la Corte, prima di tutto si è dimostrato inadatto a colpire davvero gli sprechi, perché tra le voci considerate dai calcoli hanno trovato spazio, oltre alle spese per il funzionamento della macchina pubblica (gli acquisti di carta, software, le bollette e così via) anche quelle sostenute per i servizi, a partire dai contratti per trasporto locale e gestione dei rifiuti. Questi «effetti irragionevoli» aggravano il problema di fondo, che nasce dal mancato coinvolgimento dei Comuni.
Rimediare ora, dopo tre esercizi finanziari, sembra però parecchio difficile, perché servirebbe la macchina del tempo per tornare indietro e redistribuire sulla base di un criterio diverso, e condiviso, il conto multimiliardario chiesto ai Comuni per il risanamento della finanza pubblica. Del resto rimane ancora da risolvere l’altra grana nei rapporti finanziari tra Stato e Comuni, quella sollevata dal Consiglio di Stato (e raccontata sul Sole 24 Ore del 14 marzo scorso) che ha giudicato illegittimi i tagli compensativi ai fondi locali calcolati sulla base delle stime troppo generose condotte dal ministero dell’Economia sul gettito prodotto dal passaggio da Ici a Imu. In gioco c’è circa mezzo miliardo, da trovare.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 7 giugno 2016