Pochi giorni dopo il via libera da parte di Regioni ed enti locali per il testo unico sulle partecipate arriva anche il via libera del Consiglio di Stato. Come accaduto alla maggioranza degli altri provvedimenti attuativi della riforma Madia già passati sul tavolo dei giudici amministrativi, il parere è ricco di osservazioni sulle parti ritenute zoppicanti o a rischio costituzionalità.
Le maggiori «criticità rilevanti» vengono individuate nel fatto che manca un sistema certo per il monitoraggio degli effetti della riforma. Nel decreto, certo, una struttura per il controllo sulla riforma è prevista, ed è stata collocata al ministero dell’Economia dopo una lunga discussione interna al governo, ma per il momento rimane nel vago sia nella sua individuazione sia nei criteri e nei poteri che devono guidare la sua attività. Senza precisare questi aspetti, sostengono i giudici, è impossibile centrare davvero gli obiettivi di privatizzazione e liberalizzazione che ispirano la riforma.
Per le stesse ragioni vanno corrette le deroghe che escludono una serie di realtà dall’applicazione delle nuove regole. Il testo approvato in prima lettura a Palazzo Chigi lascia espressamente inalterate le discipline di settore scritte «in leggi o regolamenti governativi o ministeriali», ma il Consiglio di Stato chiede di limitare la geografia delle esclusioni: a sopravvivere devono essere solo le regole previste dalla legge primaria, e le deroghe devono essere a tempo. Anche per le società statali escluse a priori dalla riforma, ed elencate in un allegato al decreto, il governo è chiamato a «chiarire le ragioni» dell’esclusione: in gioco ci sono nomi importanti nel panorama delle aziende di Stato come Anas, Invitalia, Sogin, Invimit, ma anche realtà più piccole come Eur Spa, Arexpo, oltre a Coni servizi.
Al parere non sfugge poi la questione cruciale del ruolo della Corte dei conti. Sul punto il testo ha ballato parecchio, e la versione finale prevede la possibilità del danno erariale per tutti i casi in cui la cattiva gestione colpisce conti o patrimonio dell’ente socio. Il tema è delicato, e i giudici chiedono di fare chiarezza: la Corte dei conti, secondo il parere, dovrebbe intervenire solo sui danni «diretti» all’ente, recuperando quindi la formula prevista nelle prime versioni del testo, e il governo dovrebbe dire una parola definitiva sulla possibilità per la Corte dei conti di contestare il danno erariale in tutte le società in house.
Sul piano della concorrenza, poi, i giudici suggeriscono un sistema di vincoli graduati, che premi chi si è sottoposto a gara e stringa invece sui titolari di affidamenti diretti: un’indicazione, questa, arrivata anche dalle amministrazioni locali, che chiedono anche di abbassare da un milione a 500mila euro la soglia di fatturato sotto la quale scatta l’obbligo di alienazione.
Il Sole 24 Ore – 23 aprile 2016