Le strade delle due sindache-simbolo delle vittorie a Cinque Stelle nelle amministrative di giugno si divaricano sempre di più, almeno nella moneta instabile ma decisiva del consenso. Ma anche lontano da Torino e Roma gli amministratori scelti dalle urne della scorsa primavera portano parecchia aria nuova nel Governance Poll, la rilevazione sul gradimento riservato ai sindaci dai propri cittadini realizzato ogni anno da Ipr Marketing per Il Sole 24 Ore: dall’ottimo piazzamento di Damiano Colletta a Latina (primo sindaco non di centro-destra della città dal 1993) alla risalita potente di Luigi De Magistris a Napoli, che dopo il successo rinnovato di giugno abbandona le posizioni di coda delle scorse edizioni e aggancia il gruppone che occupa il quarto posto.
Tra le conferme c’è invece la performance di Dario Nardella a Firenze, al secondo posto dopo aver vinto l’edizione 2014 ed essere arrivato sesto nel 2015, e i risultati di Luigi Brugnaro (Venezia) e Luca Perrone (Lecce), primo e secondo lo scorso anno e oggi al quarto posto alla testa della pattuglia di centrodestra. Tra i neo-sindaci solo la Raggi sprofonda sotto il 50%. A Milano Beppe Sala si piazza al 30esimo posto con il 55% (3,3 punti in meno rispetto al risultato di Pisapia dello scorso anno), mentre a Salerno Vincenzo Napoli (quarto con il 60%) prosegue la tradizione di alti consensi inaugurata dal suo predecessore Vincenzo De Luca. Da segnalare, poi, il risultato brillante di Clemente Mastella a Benevento, che con il 59,5% di «sì» occupa il decimo posto della graduatoria nazionale.
Quello misurato dal Governance Poll, è bene chiarirlo subito, non è un consenso elettorale, perché alla domanda posta ai cittadini dei diversi Comuni manca ovviamente il confronto con gli altri possibili candidati. Le risposte, piuttosto, misurano il gradimento ottenuto dalla figura del sindaco, in un mix variegato di elementi in cui non è possibile distinguere i fattori emotivi e d’immagine da quelli più sostanziali dell’azione amministrativa. La stessa miscela, del resto, guida poi le scelte degli elettori, ma quando si parla di Comuni la politica deve fare i conti con la qualità della vita quotidiana offerta dalla città. Anche questo elemento spiega la forbice che si apre fra i risultati medi di Nord e Sud: in generale, gli italiani delle città confermano la sufficienza piena per i propri sindaci, anche se con una frenata dal 54,8% di consensi dell’anno scorso al 53,5% di quest’anno, ma i primi cittadini del Mezzogiorno si fermano in media al 52%, due punti sotto quelli del Nord.
Dal punto di vista di partiti e movimenti, le novità più importanti si incontrano dalle parti dei Cinque Stelle, che oltre a rappresentare l’alfa e l’omega della graduatoria di quest’anno vedono piazzarsi al terzo posto un loro ex esponente. Si tratta del sindaco di Parma Federico Pizzarotti, che incassa una netta crescita di consenso (nella scorsa edizione era 49esimo) nell’anno del braccio di ferro con il Movimento, abbandonato a ottobre dopo la sospensione di maggio: a incendiare la contesa era stata l’indagine (poi archiviata a stretto giro) per abuso d’ufficio nelle nomine al Teatro Regio, che ha rappresentato in realtà il casus belli per sancire una rottura già maturata sull’onda delle critiche crescenti mosse da Pizzarotti alle modalità di gestione del Movimento targate Grillo-Casaleggio.
Ma è l’accoppiata Torino-Roma a offrire gli spunti più importanti per i grillini, in una distanza siderale che inverte il risultato delle urne, a suo tempo più generose con Raggi che con Appendino, e misura nel modo più evidente la differente condizione delle due città oltre che delle due giunte. A Torino, che prima della sorpresa di giugno ha tradizionalmente tributato alti consensi ai sindaci in carica, i problemi non mancano, dalle periferie all’indebitamento (in calo negli ultimi anni) fino ai rapporti finanziari con le partecipate come Gtt su cui sta indagando anche la procura, ma la città funziona, e macina da tempo successi crescenti in termini di immagine: non solo agli occhi delle varie forme di turismo che caratterizzano il capoluogo piemontese, evidentemente, ma anche a quelli dei cittadini che premiano il sindaco in carica. La stessa Appendino, del resto, dopo l’inevitabile rupture iniziale che ha alimentato più di una polemica con il suo predecessore Piero Fassino ha spiegato nella conferenza stampa di fine anno che «il cambiamento va fatto gradatamente, attraverso le piccole cose, con senso sabaudo. Anche per non rischiare di lasciare indietro tutto quello che di buono è stato fatto in passato». Tutto il contrario di quel che accade a Roma, dove Virginia Raggi ha aggiunto errori propri alle eredità impossibili lasciate dalle giunte precedenti di destra e di sinistra.
Gianni Trovati – IL Sole 24 Ore – 16 gennaio 2017